martedì 28 luglio 2015

Cibus



Piera Mattei:
il cibo nell’arte della scrittura
di Bonifacio Vincenzi



Questo interessante libro di Piera Mattei, Cibus, (Gattomerlino) merita la nostra attenzione per almeno due motivi. Il primo perché è uno splendido esempio di arte letteraria: è, infatti, una dissertazione dotta sulla poesia del cibo  e della fitta trama  dei suoi significati simbolici. Il secondo, perché  la nascita di questo libro, a mio avviso, non può non essere legata, in qualche modo, al particolare effetto  Expo Milano 2015 e il suo tema dominante: nutrire il pianeta, energia per la vita.

Da qui, è inevitabile una breve riflessione su alcuni paradossi del nostro amato pianeta. Da una parte circa novecento milioni di persone patiscono la fame; dall’altra sono in vertiginoso aumento ogni anno  il numero di decessi per malattie legate al problema dell’obesità e del sovrappeso. A questo si aggiunga che ormai si comincia a parlare di miliardi di tonnellate di cibo sprecato ogni anno che buttiamo nei bidoni dell’immondizia, e  ce ne sarebbe già abbastanza per cominciare a veder traballare il nostro concetto di umanità.



Ma non è di questo che ci dobbiamo occupare. Il libro della Mattei parla di parole, della materia prima della scrittura. Parte dal vocabolario ed è già avvincente ciò che ne viene fuori…
“Cibo dal latino cibus. E qui ci fermiamo. Si tratta di una di quelle parole che definiremmo “prime”, come quei numeri che resistono a ogni ulteriore scomposizione. Nella sua neutralità non ammette sinonimi, perché alimento o nutrimento richiamano (come i verbi alo e nutrio da cui derivano) un atteggiamento affettivo tra madre e figlio, tra piccolo e grande, in tutto il mondo animale; poi anche da colto a ignorante, da giovane a saggio, nell’ambito esclusivamente umano e culturale. Cibo invece, nella sua valenza biologica e fisica insieme, è parola lontana da ogni commozione: definisce la materia organica che l’animale consuma per continuare il ciclo della vita. Cibo, se usato senza aggettivazione, è entità necessaria e potente, benché passiva nell’atto di essere consumata.”


Inoltrandoci più in là, la scrittura di Piera Mattei segue itinerari letterari soffermandosi spesso nell’epoca classica dove i riferimenti attinenti alla tavola sono davvero numerosi. Non mancano, infatti, richiami a Orazio, Petronio, Ovidio, tanto per citare solo alcuni nomi.
Ma c’è nel libro anche un intero capitolo dedicato ad una scrittrice più vicina ai nostri tempi: Dacia Maraini. Il capitolo si intitola “Eros e cibo nella poesia di Dacia Maraini” ed è un viaggio nella poesia, appunto, della Maraini che sicuramente è stata oscurata dalla forza espressiva e la notorietà dei suoi romanzi ma che, nell’ambito di questo approfondimento, spesso, nella sua poesia “ la cucina diventa metafora di rapporti che non conoscono o non sopportano la mediazione razionale.”



E, sempre seguendo questa scia della poesia del novecento, ad un certo punto Piera Mattei cita poeti come Clemente Rebora, soffermandosi, però, particolarmente, sulla poesia di Aldo Palazzeschi, dove il tema della cena  viene trattato con ironia e una certa dose di pazzia, “in un crescendo di disagio conviviale e gaffes surreali.”

Il libro della Mattei si conclude con il racconto “Pollo, il candido” che parla delle ossessive riflessioni di un pollo su una sconcertante affermazione di una elegante signora che dice di non mangiare nessun tipo di carne se non quella di pollo, di cui non riesce ad avere veramente pietà, ritenendolo stupido.

In verità la Mattei ha una particolare simpatia per questo uccello domestico avendogli dedicato ben tre capitoli del libro, lamentando il fatto che “ di tutti gli animali che diventano cibo dell’uomo (occidentale) il pollo è l’unico che, almeno fino ai tempi recenti, non è stato nobilitato in poesia.” Il motivo? C’è un solo modo per saperlo ed è quello di acquistare e leggere questo piacevolissimo libro di Piera Mattei.



Immagini in ordine di apparizione: copertina del libro, foto di Piera Mattei,  Alberto Sordi nella famosa scena di un film, foto di Dacia Maraini.

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