venerdì 10 febbraio 2017

Da un tempo di profumi e gelo







Cecchinel e il rituale del fuoco
di Bonifacio Vincenzi

Un poeta autentico?

Luciano Cecchinel lo è sicuramente. E dimostra di esserlo, caso mai ce fosse bisogno, anche in questa sua ultima raccolta, Da un tempo di profumi e gelo, edita qualche mese fa da LietoColle. La silloge è stata inserita nella prestigiosa collana “Giallo Oro” condivisa ogni anno, in occasione del festival,  dall’editore con “pordenonelegge”.

È stata una raccolta sofferta e costantemente "in pericolo", come sono un po’ tutte le raccolte di poesie di Cecchinel...

“Le molte revisioni cui sottopongo i miei esiti di scrittura – spiega ai suoi lettori Cecchinel in una nota - , anche per certa carenza di convinzione e relativa insoddisfazione di risultati, mi portano a dei ritocchi progressivi e, anche se sono stato in più occasioni consigliato di conservare le versioni precedenti, dopo aver registrato per dattiloscrittura i nuovi stati di avanzamento, le getto sistematicamente nel fuoco, con un senso di soddisfatta ritualità, ad ogni modo scevra di incrostazioni propiziatorie.”

Dopo una lunghissima e soddisfatta ritualità d’attesa, finalmente la raccolta è salva dalle fiamme di quel fuoco tanto caro al poeta.

Il tessuto linguistico delle poesie raccolte in questo volume appare di sicuro l’abito perfetto per la Poesia, quella vera.

Il suo è “un io lirico soggettivo e plurimo nella sua conformazione –  scrive giustamente Rolando Damiani nella postfazione al libro -  fisiologicamente tradizionale, dunque imparentata alla lontana con progenitori classici e italiani, vaga nel «lucore» speculare della luna e di un lago, che noi sappiamo essere non immaginario ma reale e da lui visibile come sfondo abituale e nativo.”


La poesia in questo libro c’è, insomma. Si fa apprezzare, si fa sentire in profondità regalandoci parte del mondo di un uomo e un poeta che sicuramente ha un rapporto particolare e intrigante con la poesia che abita dentro di lui …

Profumi semplici/ di ortiche e di sambuchi,/ dallo smarrimento dei ghiacci/ e delle nevi/ innocenti lusinghe/ sotto le volte umili di aprile.// Ingenui vaghi/ di stupori stellati di narcisi/ e di segreti bisbigliati/ di viole, garofani e gigli/ per i diversi/ misteri dei cammini.// E densi di mughetti, gelsomini/ e rose, ciclamini,/ acacie e tigli,/ offerte rugiadose/ lungo i cigli dei boschi/ a perdizione.// Ma poi di menta e timo/ il sospeso sospiro/ entro la morte/ dolcissima del fieno/ come la grazia/ mansueta del perdono.//
 . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Tra candele di ghiaccio,/ lungo trine di brina/ – ricordo, promessa d’amore –/ l’aspersa pura/ benedizione/ del calicanto in fiore.” (Funzione di profumi).