lunedì 24 agosto 2015

Quadernario






Il “Quadernario” di LietoColle:
una grande opportunità per conoscere i nuovi poeti
di Bonifacio Vincenzi


“I confini di un libro – scrive Michel Foucoult – non sono mai netti né rigorosamente delimitati: al di là del titolo, delle prime righe e del punto finale, al di là della sua configurazione interna e della forma che lo rende autonomo, esso si trova preso in un sistema di rimandi  ad altri libri, ad altri testi, ad altre frasi …” Il nodo di un reticolo, insomma, e non se ne esce, perché la bellezza di un libro sta proprio in queste infinite relazioni, ( a volte volute, a volte no), e al pulsante mistero che le accompagna.

Per quanto riguarda l’opera di cui ci apprestiamo a parlare, il secondo Quadernario – Almanacco di poesia contemporanea, a cura di Maurizio Cucchi, (LietoColle, 2015) il discorso si fa leggermente più complesso. C’è un antefatto genetico su cui vale la pena soffermarsi un po’.


È abbastanza recente la decisione della Mondadori ( non il grande Mondadori, quello, per intenderci, che ha contribuito a scrivere le pagine mitiche della letteratura italiana del novecento, ma quello attuale, quello che pubblica, in gran parte,  le opere ( o le ”operette”) dei presentatori, dei cantanti, degli attori, per seguire scrupolosamente le leggi del mercato e far quadrare i conti) di non pubblicare più l’Almanacco dello Specchio, decisione che, a detta di molti,  potrebbe portare di fatto, prima o poi, alla definitiva cancellazione della stessa collana di poesia “Lo Specchio”.

Una scelta che ha fatto discutere. Qualcuno ha parlato della morte della poesia, altri di logiche di mercato, altri ancora di una visione del mondo e sul mondo che cambia. Un’infinità di parole insomma messe in circolo, all’inizio con continuità e vigore e che poi si sono disperse in questo vuoto che quotidianamente ci sovrasta. Ma ora, in questo contesto, anche per meglio comprendere le ragioni di questa operazione editoriale fortemente voluta da un editore intelligente e appassionato come Michelangelo Camelliti, una breve riflessione bisogna pur farla. Che l’Almanacco dello Specchio e la stessa collana di poesia non andassero ad arricchire le casse della Mondadori era risaputo. Si trattava di tirature di qualche migliaio di copie, la maggior parte delle quali invendute e poi destinate al macero. Si continuavano a stampare per il loro valore simbolico, rappresentavano, in pratica, una continuità con il proprio passato e la propria storia. 


Arnoldo Mondadori, Giulio Einaudi, Valentino Bompiani, Angelo Rizzoli, all’inizio della loro storia, erano editori prima di tutto appassionati. Pubblicavano i libri e gli autori che amavano. Avevano fiuto perché, quasi sempre, i libri che loro amavano erano anche quelli amati dal popolo dei lettori. Memorabili i loro carteggi con i grandi autori del Novecento, i loro autori. Erano altri tempi, certo. C’era una concezione diversa della vita, dei rapporti umani e della consapevolezza di essere comunque protagonisti di un progetto importante, destinato ad entrare nella storia. Ma c’era anche una politica editoriale diversa che si preoccupava costantemente di sostenere un lavoro di ricerca e valorizzazione di nuovi autori.

A mio avviso non è pensabile che un Editore come Mondadori possa cancellare definitivamente la poesia dai suoi programmi. Sarebbe una frattura con il proprio passato troppo evidente che potrebbe aprire una voragine letale. Quello che è certo, però, è che “Lo Specchio”, negli ultimi vent’anni non è stato più quello che ci ha fatto conoscere poeti come Quasimodo, Ungaretti, Montale, Giudici, Zanzotto, solo per fare qualche nome. Se andiamo a dare un’occhiata agli autori pubblicati  ci accorgiamo che l’inserimento nella prestigiosa collana di poesia è diventato una specie di contentino per le velleità poetiche di giornalisti di grandi quotidiani ed emittenti televisive importanti, traduttori, critici, di persone, insomma  direttamente o indirettamente funzionali alle esigenze  promozionali dell’intera produzione editoriale della casa editrice. 

Una politica anche legittima, per carità, ma che doveva essere contenuta, senza lasciarsi prendere la mano, come poi puntualmente  è avvenuto. Questi poeti senza qualità alla fine hanno invaso il campo oscurando quasi totalmente la Poesia, quella vera. E anche l’Almanacco dello Specchio ha finito, in gran parte, per sposare questa politica assurda e suicida.
In Italia, per fortuna, ci sono  editori coraggiosi che alla poesia, ci credono. Scheiwiller prima, Crocetti, LietoColle, Raffaelli,  ora  hanno continuato a cercare ed accogliere nei loro cataloghi la Grande poesia.


Quindi non c’è da sorprendersi se Michelangelo Camelliti (e il suo LietoColle) si sia sentito in dovere di seguire la scia lasciata dall’Almanacco dello Specchio presentando periodicamente questo Quadernario che rappresenta un vero lavoro di ricerca e valorizzazione dei nuovi poeti. Curato da Maurizio Cucchi, un nome che rappresenta una continuità di quanto di positivo c’era nell’Almanacco della Mondadori, il volume, di ben quattrocento e tredici pagine, presenta trentasei poeti italiani e stranieri.
“Il secondo numero del Quadernario prosegue nella sua linea, a nostro avviso chiara e aperta,  che è quella di proporre, volta a volta,  autori di letterature e generazioni differenti. Ed ecco dunque, accanto a quello che, in questa antologia di inediti, possiamo considerare il decano, e cioè Arnaldo Ederle (nato nel ’36), alcuni giovani o addirittura giovanissimi, come Antonella Chionna ( nata nel ’90, ma altri ne proponiamo, nati alla fine degli anni ’80) che ci danno modo di cogliere,insieme, la continuità e le evidenti – ma non certo decisive – varie impostazioni di orientamento e tono che si sono manifestate nella nostra poesia nell’amplissimo arco di esperienze e di condizioni storiche così diverse.”
Così inizia la prefazione di Cucchi ed è un chiaro messaggio di quello che è l’anima che caratterizza questo percorso di ricerca aperto a poeti di generazioni diverse.
La prima parte del Quadernario è dedicata ai poeti stranieri:  Marco Antonio Campos (Messico);  Jorge Boccanera (Argentina); Radmila Lazić (Serbia);  Jean- Charles Vegliante (Francia);  Marga Clark (Spagna). Autori di  talento tradotti in modo eccellente rispettivamente da  Martha L. Canfield, Alessio Brandolini, Ginevra Pugliese, Mario Benedetti e Roberta Buffi.
La seconda e la terza parte raccoglie le brevi sillogi dei poeti italiani Lorenzo Caschetta, Massimo Daviddi, Igor De Marchi, Antonio Di Mauro, Letizia Dimartino, Arnaldo Ederle, Mario Fresa, Renato Minore, Francesca Moccia, Ottavio Rossani, Luigia Sorrentino, Dina Basso, Stefania Buiat, Roberto Cescon, Antonella Chionna, Stelvio Di Spigno, Francesca Donazzan, Andrea Leonessa, Pietro Simon Ostan, Michele Porsia, Giulia Rusconi.


Prima di concludere una nota bella. Ho molto apprezzato la decisione di Maurizio Cucchi di inserire nel Quadernario  Dina Basso, nipote del mai dimenticato poeta dialettale siciliano Salvo Basso, morto prematuramente, nel 2002, all’età di trentanove anni. Il fatto che sua nipote, una poetessa di grande talento, abbia deciso di scrivere in dialetto siciliano, dimostra quanto la figura di suo zio sia sta importante nella sua vita. D’altronde la stessa Dina Basso lo rivela in un’intervista di qualche tempo fa: “Mio zio  è stato quello che mi ha fatto scoprire il potenziale espressivo del dialetto ma era un intellettuale quindi una figura di riferimento sin da piccola, sicuramente un modello positivo.

E questo, lo ammetto, mi ha emozionato molto, perché mi ha ricordato Salvo, la sua passione politica e intellettuale a favore della valorizzazione e trasmissione della cultura delle tradizioni del catanese soprattutto nel mondo della scuola. E il fatto che ora  Dina Basso, a grandi livelli, abbia raccolto questa eredità, assume un significato particolarmente positivo, in questo mondo dalla memoria sempre più corta.


Immagini in ordine di apparizione: 1. copertina del libro,  2. Maurizio Cucchi, 3. Arnaldo Mondadori, 4. Michelangelo Camelliti in Calabria tra Bonifacio Vincenzi (a sinistra, di spalle) e Oreste Bellini, 5. Dina Basso.

domenica 9 agosto 2015

Il tocco abarico del dubbio






Angela Caccia:
lo strano piacere del dubbio
di Bonifacio Vincenzi

Sguardi, odori, canti, immagini, fantasie, stupori, pensieri e quella voce silenziosa che sboccia nel biancore della pagina per farsi parola che rimane,  che va oltre  i vincoli dell’appartenenza, pronta ad accendersi ad ogni carezza di nuovi sguardi, nuovi mondi, nuovi destini. Specchi, specchi e ancora specchi perché la vita della poesia è questo andare oltre l’immagine, è questo ritrovarsi nella casa dei poeti dove la persistenza del tempo si dilata perché da loro, come canta Emily Dickinson, “sempre/ è fatto di tanti adesso,/ non è un diverso tempo/ salvo per la sua infinità/e per l’estensione della sua casa.”

La casa di Angela Caccia, in questa bellissima raccolta di poesia, Il tocco abarico del dubbio (Fara Editore), “ è svegliarsi/ tra le coperte del mattino/ le più calde// fuori/ un pigolio di pioggia/ il balbettio cadenzato/ nella pozza// i rami gocciolanti/ già carichi di notte/ pesanti d’acqua// il silenzio dei passeri/ l’umore mesto delle foglie/ s’acquatta la lumaca/ la terra che allatta/ goccia a goccia.// Dietro le palpebre/ in riflesso/il mio cosmo// il posto delle cose/ odori e rumori di casa/l’angolo del pianto/ sulle pareti profili dinamici/ statici pendono i ricordi//alle nebbie del fuori/ un piacere asciutto/ come una chiarezza/ in un perimetro di tempo/ ho coltivato un campo a spaglio/… pare buona la sementa.” (La casa)

Percezioni sensibili di rara bellezza, il cuore colmo; in un attimo milioni di istanti rivivono nella somma di tutti i sentimenti e nella forza generatrice della poesia.

Niente è più impressionante, nella poesia di Angela Caccia, di questa sorpresa di fronte al silenzio che parla, per cercare di colmare il vuoto infinito di tutte le età che le appartengono.


Attorno a noi, l’invisibile. Ma il nostro sguardo cerca nelle parole quella vita che è passata, quella vita che riguarda tutti noi, diversa, ma nell’essenza, così uguale, così piena del nostro essere altrove.

Dentro e fuori. In quanto lettori possiamo muoverci all’interno della sua casa, avvicinarci magari all’angolo del pianto dove il dolore sospeso senza forma assilla il rimorso dei vivi.

O, invece, riempire la finestra per vedere scorrere le quattro stagioni:  pioggia, pioggia e ancora pioggia, l’ammasso di venti, le notti d’estate, le albe, i tramonti, il suono silenzioso della neve …

Dentro e fuori mentre negli strati del tempo il dubbio è uno strano piacere per nascondere inquietudini e paure e andare avanti, con la propria vita, quella scomparsa e quella ancora viva.

Alla fine ciò che Angela Caccia chiede a se stessa, a coloro che le vogliono bene, ai suoi lettori è di restare insieme al di là dei dubbi, al di là delle certezze che nessuno potrà dare mai a nessuno, perché insieme … nell’ultimo spicciolo di notte/saremo noi l’aurora/ gli occhi puntati ad est/ e il fiato corto.



martedì 4 agosto 2015

Nuove nomenclature ed altre poesie




Anna Maria Curci:
uno sguardo dal mistero
di Bonifacio Vincenzi


Vita vivente e vita vissuta, idea creativa e creante ( sempre viva, oscura, eterna), archetipi ... Che altro?  Molto altro ancora  e tutto ciò che serve per trovare una chiave d’accesso nella poesia di Anna Maria Curci. Magari anche un passepartout per violare l’enigma dei suoi versi ruvidi, essenziali, carichi di pensiero suo e dei grandi pensatori del passato e del presente.

Un bagno di umiltà. Vietato avventurarsi in dedali di illimitate interpretazioni, è consigliato, invece, un prolungato raccoglimento per tentare di liberarsi prima dell’ossessione del senso. Le immagini della Curci sostituiscono la realtà, la ironizzano in un’emissione di segni a volte non accordati con la circostanza. Momenti felici di una mente nell’atto di offrire a se stessa lo spettacolo di sé, nel passaggio tra zone d’intensità differenti, dentro, accanto e fuori dalle immagini, nell’operazione del farsi testo, questo testo: Nuove nomenclature ed altre poesie, edito dalla Casa Editrice L’Arcolaio.

E che sia la voce, dunque, nel silenzio che parla allo stupore  dello sguardo. Voce di parola affidata al deserto della pagina, per appagare le esigenze dell’erranza …

Tornano i giorni del lancio del peso/ a raggelare accasciata zavorra./Pendenze mascherate da colline/ o da strapiombi, a seconda del caso,//mimano di Sisifo il vecchio gioco/ – scosceso lui o il masso, poco importa./ L’androne non è porta, avverte loro/
ghigno, rifilando colpi di tacco.” (La caduta dei gravi).


Un’immagine di spirale che si avvita e scatta come un lampo in un turbine creativo che sboccia da gusci di parole. Ed è il lavoro dello sguardo a creare dubbi all’ascolto. Le parole sbocciano come gli artificiali fiori giapponesi, non obbligano a niente né fanno riflettere, vivono nel loro oscuro silenzio ammiccando all’ignoto …

Ho sognato stanotte/di un filo non più teso/a scongiurare il vuoto/
eterno agguato al gioco.//Già mi prefiguravo/lo slancio spensierato/
che affrontava di petto/ l’esito capovolto.” (Lapsus)

La poesia di Anna Maria Curci dispensa bellezza da una corda di basso, viaggia indietro trovando risposte che non cerca, “mentre la briglia abbandonata/ volge lo sguardo altrove.”
D’altronde, il senso della vita non è al di là di questo mistero che la sovrasta?


sabato 1 agosto 2015

Il chiarore








Carla Saracino:
il chiarore di un’anima che sa cantare
di Bonifacio Vincenzi


“Non parlare, vita d’una volta./Ogni scrittura sul foglio/della fatica di ricordare/ è dilapidazione, preparazione/alla morte./Sii dentro, sta’ reclusa”

Si può partire tranquillamente da qui, da questa esortazione a tacere, da questa avversione verso il defluire della vita passata, nelle pagine libro. Magari, fermarsi un attimo a riflettere e concludere, che la vita che torna nel libro è altra cosa che ha a che fare con quella parte di noi che vive al buio.

Ma stiamo correndo troppo rischiando di allontanarci da quell’attimo di raccoglimento in cui, nella mobilità del silenzio, la parola oscilla nelle vibrazioni della poesia. Parola che non attende e non sosta. Parola che alla fine non dilapida nulla e nulla salva. È solo poesia, amici. Straordinaria voce dall’ accorato silenzio di una donna immersa in una notte senza tempo dove il “tutto” che la riguarda si dibatte. Questa donna ha un nome che coincide con il suo cuore: Carla Saracino. E ha immolato un altro pezzo della sua “vita d’una volta”  in questa sua nuova silloge, Il chiarore, edita da LietoColle.
“La sua voce femmina e unica”, voce poetica la cui “infermità” spinge ad attraversare lo specchio per evidenziare altrove la propria visibilità splendente, il divenire senza più segreti …



Hanno detto di procedere per sentimenti./Di figurarsi il tempo entro certi particolari/che la vita occasionalmente ruba./ Ma noi non sapevamo che vita fosse una vita dimenticata.

Nel cuore di questa sottrazione la consapevolezza  lega la sua resa all’inclinazione. Una fede inconscia sostiene i termini di una nuova risurrezione (senza gioia) che è nella poesia.

Non c’è pace, però, o se c’è, è solo un abbaglio. La poesia, infatti, non mira a ricostruire l’unità né risolve l’inquieto pulsare della sofferenza: è solo un modo per  mettere un piede nel nulla ...


Essere in tanti dentro se stessi, una volta sola negli altri.
Dunque, è negli altri l’umana salvezza, nella loro testimonianza l’unica possibilità di avere un’idea di ciò che eravamo, che siamo e che saremo?

Parole, sono solo parole che cercano un dialogo silenzioso e appagante con questo bellissimo libro di poesie di Carla Saracino. Parole sussurrate accanto già vissute e da vivere ancora nel chiarore di un’anima che sa cantare.



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