domenica 5 marzo 2023

 

NOVITA' EDITORIALE MACABOR



mercoledì 13 febbraio 2019

Vado via coi gatti...






VADO VIA COI GATTI…
Un libro di Maria Grazia Ferraris 
sulla figura e l’opera di Gianni Rodari
di Alberto Palazzi

Accattivante a partire da quel titolo sibillino: “Vado via coi gatti ... La voce multiforme e multisonante di Gianni Rodari. Interventi critici (2004-2018). Macabor Editore. Francavilla Marittima CS. 2019.”. Raffinato nella scelta editoriale. Ma soprattutto un libro che suscita interesse: ho letto con particolare attenzione  ed ho anche riletto. A giustificare questa mia persistenza hanno contribuito diversi fattori: sicuramente ha giocato la mia affezione per Gianni Rodari, uno scrittore che spesso mi sono portato sul comodino, sicuramente la simpatia che nutro per un’autrice che da tempo collabora ad una rivista che ho il piacere di condurre (Menta e Rosmarino),ma se tanto a lungo mi sono soffermato non posso disconoscere la vera ragione: è un libro che “prende”.

Concedersi alle riflessioni di Maria Grazia Ferraris è quasi sempre un piacere perché non sono mai buttate là in modo estemporaneo, ma documentate e vagliate alla luce della sua profonda cultura letteraria; per di più ella possiede la capacità di farsi leggere, uno di quei doni per avere il quale non bastano ne’ l’intelligenza, ne’ la cultura, ne’ l’applicazione, ne’ l’esperienza. Si tratta di una misteriosa “Grazia” (e scusate il gioco di parole) che qualcuno possiede e altri no.

Avevamo già avuto modo di conoscere queste qualità in altre pubblicazioni e tra le tante mi piace ricordare “Lettere mai spedite”, “Occhi di donna”, “Marina Cvetaeva”, “Il Croconsuelo e altri racconti”, “La luna giocosa”, questi ultimi due libri nelle edizioni di Menta e Rosmarino.

In questa raccolta di scritti su Rodari, che costituiscono forse il segmento più importante della sua poliedrica attività di critica letteraria, l’autrice ripercorre il “Rodari” reso celebre dai suoi scritti per l’infanzia, ma soprattutto ne scopre e ne documenta un altro, meno conosciuto e per questo più intrigante: il Rodari scrittore per adulti.

L’accostamento ai futuristi e ai surrealisti, poi a Prévert e soprattutto a Calvino, segna il tratto più importante del suo giudizio critico e la sottigliezza delle sue motivazioni,  unita a una appassionata intensità di narrazione, ne fanno un testo che mi sento di consigliare  a chi intende inquadrare la figura di Rodari al di là dei canoni critici tradizionali.

D’accordo: non è che una raccolta di “articoli pubblicati in varie riviste del territorio” – afferma l’autrice. Eppure ne esce un quadro esaustivo della personalità dello scrittore, anche con riferimento ai suoi interessi culturali, linguistici e sociali.

Un libro che nel centenario della nascita di Gianni Rodari (2020) non potrà mancare sulla scrivania dei suoi più affezionati lettori- anche e soprattutto perché può diventare punto di partenza per nuovi sviluppi nello studio dell’autore.

sabato 9 febbraio 2019

Come un bruco assetato di cielo







Marco Baiotto:
“Come un bruco assetato di cielo”
di Bonifacio Vincenzi

Jabès:”Solo sui nostri occhi, sulla nostra intelligenza possiamo contare, per tentare di cogliere ciò che lo scritto contiene; solo attraverso i limiti insopportabili di una parola letta possiamo accostare l’infinito di una parola da leggere. Sicché è sempre una parola impossibile che urtiamo; e a cui sacrifichiamo la nostra.”

In questo sacrificio ciò che viene è qualcosa che ci riguarda fino in fondo, una luce che illumina la strada che non è mai nostra ma che poi la diventa; e si va avanti nel libro. Per cercare cosa? Il nostro cielo? Le nostre piccole malinconie irrisolte? O semplicemente il nulla che a un certo punto emerge carico di un mondo, sì, quel mondo, così simile al nostro. Magia della Poesia. Magia del libro.

Già, il libro. Sulla copertina, fra il titolo e il nome della casa editrice, il nome dell’autore: Marco Baiotto. In questi casi è consuetudine citare il nome della casa editrice, la Macabor, e il titolo del libro: Come un bruco assetato di cielo.

“Un titolo – scriveva Derrida – è sempre un’economia in attesa della sua determinazione, della sua precisione, della sua Bestimmtheit, quello che esso determina e quella che la determina.”
C’è da dire, però, che l’energia oscure che gravitano in questo libro di poesie di Baiotto sono misteriose e importanti. La loro presenza enigmatica stimola la nostra curiosità:

“Anime in calici/ stillavano in gocce di sangue bianco/  dall’albero della gomma divina/ per soffrire alla luce di Soli dispersi.// Ogni goccia nel calice suo/ di cristallo gommoso caldo,/ con unghie immaginarie/sulle pareti interne del corpo,/ s’inerpicava/ come bruco assetato di cielo,/ dall’interno del tronco cavo di castagno/ imprecando occhi sul mondo,/ per spiccare voli di farfalla."

La materia oscura della poesia, come quella dell’Universo, si dispone (in questo caso sulla pagina) in modo disomogenea. Dal cumulo dei giorni di una vita viene fuori un mondo che attraverso un lungo, paziente, silenzioso avvicinarsi, alla fine riempie la parola e subito dopo è stupefacente come un semplice sguardo riesca a cogliere (e lo diremo parafrasando Blanchot) non il tutto, “ma ciò che è già prima di «tutto», l’immediato ed il lontano, ciò che è più reale di ogni cosa reale e che si dimentica in ogni cosa, il legame che non si può legare e attraverso cui tutto, il tutto, si lega.”
Nella poesia di Baiotto gli indizi si dispongono nei versi e il senso più evidente si concede alla facoltà di vedere e sentire altro, una sorta di dubbiosa verità a brandelli:

(…) Ricordavo qualcosa…/Forse quando tolsi le rotelle dalla bicicletta/e rovinosamente caddi conoscendo l’asfalto,/o forse quando con un luccio allo stagno/lottai fiero dei miei dieci anni/ in un indimenticabile inverno,/ o forse ancora/quando sostenni l’esame di terza media,/ tremante candido fuscello,/promettente anticamera/ d’un solido uomo.// Ricordavo qualcosa…/Forse le mie giornate al campetto/ quando l’estate sembrava un unico/interminabile correre a perdifiato/fino a notte fonda,/e il crollo sempre avveniva/sul mio piccolo ottundente guanciale.// Ricordavo qualcosa…/ Quando imprecando in dialetto inseguii/con un bastone un ragazzo più grande:/che folle, dopo avergliele date/ ed esser fuggito indenne,/ l’aver ridisceso, per onore, le scale,/ per prenderle da lui e dai suoi amici!// Ricordavo qualcosa…/ Forse le giornate in torrente/ a viver la poesia dell’acqua e delle trote/che scorrono fluttuando nel tempo della natura,/ lasciandomi esondante di stupore,/muto testimone,/con i ricordi nel carniere/a far da unico salvacondotto/ad una altrimenti inevitabile,/stridente odierna follia.//Ricordavo qualcosa…/Ch’era così bello da sembrare un quadro,/e di quel quadro il profumo riporto/cancellandone le ombre dalla memoria,/ancora in me fresco di pittura.//Fintanto cheogni cellula di gelatina/ammorbata da arteriosclerosi inclemente/ non invaderà il mio giardino,/ghiacciandone i fiori/in graffiti di quarzo/sulle pareti della mia vuota caverna/ rilucente di muti cristalli.

Questo filo che porge Baiotto non cerca vie d’uscita, è un passare tra realtà e racconto della realtà, un transitare, insomma, tra gli strati di una vita dove lo stupore è ancora intatto negli occhi di un ragazzo che è rimasto lì a vivere per sempre la poesia dell’acqua e delle trote.

venerdì 1 febbraio 2019

LINGUA MATER




Considerazioni ad alta voce:
LINGUA MATER di Angelo Gaccione
di Francesco Curto

Una piccola grande opera (mi si passi l’ossimoro) ma soprattutto preziosa, l’ultima fatica dell’instancabile scrittore Angelo Gaccione. Lingua mater, macabor editore, una raccolta di poesie in dialetto acritano, con traduzione a fronte dello stesso autore. La presentazione di Dante Maffia ci consegna un poeta che ci porta in un viaggio che si compie in un tempo breve ma in uno spazio immenso: la memoria L’introduzione di Maffia contiene inoltre alcuni strumenti di aiuto necessari al lettore per meglio entrare in quel viaggio onirico che svelano, a nostro avviso, quei suoni peculiari che questa lingua richiede. Anche l’autore nell’ouverture ci prende per mano nella lettura per accompagnarci dentro un mondo che sa tanto di antico ma  così attuale anch’esso, così necessario per la  costruzione del proprio futuro: quel tempo in apparenza morto ma invece vivo nella parola e  in ogni momento (sempre)  della vita di Gaccione. 

Un viaggio che  si dilata   in questo testo con una scrittura in versi così scarni ma carnali, come rileva Maffia, un diario essenziale di ricordi pieni di dolore ma con altrettanta voglia di riscatto. La lingua materna è la linfa vitale che permea tutta l’opera di Angelo, forse inconsapevolmente; infatti, tutta la narrazione letteraria del nostro ha in se sempre quel substrato che deriva dalla dialettalità acritana. Nella prosa, nella drammaturgia, nella critica letteraria  e nell’impegno rigoroso e puntuale quale giornalista. S’intravede nei versi persino la gestualità di persone e animali e la  vitalità delle cose ormai in disuso. Condivido ancora con Maffia quando afferma  che l’opera di Gaccione è pregna di calore umano e siamo appunto in quella coralità che ha attraversato tutta l’opera, a quell’impegno rigoroso verso questa umanità disumana, sempre attento alla voce degli uomini senza diritti. La nota rilevante di questa raccolta è la figura della madre  che coincide con la madre lingua. A lei si è allattato l’autore assorbendo carne e sangue, ma soprattutto parole e linguaggio, fonte di vita e madre di parole. Entrambe essenza indispensabile dell’esistenza umana. Ed ecco che nel vento c’è anche il dolore, c’è però il suono di voci, i sapori e i profumi. C’è il paesaggio interiorizzato e la casa che oggi esiste solo nella memoria. C’è la nostalgia per tutto e di tutti. Ogni poesia è un microcosmo che si sedimenta nella mente e si radicalizza nel cuore. Un bagaglio memoriale che anela sempre alle radici, una voglia manifesta di un ritorno al ventre materno o nell’utero della propria madre, dove tutto è stato concepito e da dove poi il mondo di Gaccione ha affermato la sua esistenza. Un uomo, Gaccione,  che ha conosciuto la vita di povertà e sofferenza ma ricca di valori autentici quali il rispetto per l’altro e per il pane sudato, La fatica per sopravvivere alla violenza, l’impegno alla lotta per un mondo migliore, un acuto letterato  Angelo che da un contributo rilevante con la sua attività  alla indifferenza di una società che oggi ha perduto il sogno e non ha un progetto da consegnare alle generazioni future.   


mercoledì 5 dicembre 2018

Il capitano di Bastur




A Palermo la doppia presentazione del romanzo 
di Claudio Alvigini, Il Capitano di Bastur


Doppio appuntamento e lancio su scala nazionale a Palermo del romanzo di Claudio Alvigini, Il capitano di Bastur, edito da Macabor Editore nella prestigiosa collana di letteratura fantastica, “Il mondo di Morel”.
Definito già a pochi giorni dalla sua uscita “uno dei migliori romanzi scritto negli ultimi anni”, il romanzo è, in sintesi, la storia della vita e della crescita di Basin; da bambino, chiuso nel paesino di K. e allievo del Maestro delle Lettere D'eleganza Cardelio, a giovane uomo. È la storia della sua ansia e del suo sogno di  conoscenza e libertà che si intreccia indissolubilmente con i vari personaggi e le varie figure, spesso femminili, che incontra nel suo lungo cammino di affrancamento.

Il romanzo si colloca agevolmente sulla scia di due importanti romanzi: “Il deserto dei tartari” di Dino Buzzati e “Il castello” di Kafka. E già da questo è facile intuire che ci troviamo di fronte ad un autentico caso letterario.
A differenza del tenente Drogo nel romanzo di Buzzati, e del signor K del romanzo di Kafka, il giovane Basin, sarà inevitabilmente attratto dal fascino irresistibile del mistero che aleggia al di là delle montagne che cingono il suo paese. Una storia insolita dunque, costruita su una dimensione misteriosa fatta sì di realtà ma contaminata da un gusto del racconto remoto ed enigmatico.
Due, dicevamo, gli appuntamenti a Palermo: Il 15 dicembre alle 17:30 Claudio Alvigini con il suo romanzo Il capitano di Bastur sarà accolto, grazie alla generosità di Domitilla Alessi, nella raffinata e prestigiosa libreria “Novecento” che ha ospitato grandissimi come Borges e Calvino (il quale definì Novecento “la più bella libreria d’Italia”). 

Il tour palermitano si concluderà il 16 dicembre alle 11:30 sul mare, presso il famoso circolo della vela “Lauria”. Un mare che è da sempre luogo di mediazione, di viaggio, di incontro, e da sempre fucina di culture.

Immagini in ordine di apparizione: Copertina del libro;
Claudio Alvigini; Jorge Luis Borges.

mercoledì 22 agosto 2018

Lo sperpero degli Astri




Recensione di Mary B. Tolusso del libro di Elio Grasso, "Lo sperpero degli Astri" edito da Macabor Editore
... Contro ogni staticità che non restituisce dinamica è anche uno dei temi della silloge “Lo sperpero degli astri” (Edizioni Macabor, pagg. 57, Euro 12) di Elio Grasso, poeta, ma anche ottimo traduttore, Grasso sta dalla parte del cielo dove tutto accade a grande velocità. E appunto, scrive: “Il ricordo umano non ha scopo/chimico”. La poesia ha questo fine preciso, quello di svincolarsi da ogni realtà pregressa che non conduca a una nuova apertura e “ avanza per radici e resine/ e con bisogno di gemme/lontano dalle vostre risate”, risate di chi, probabilmente, vorrebbe tutto rimanesse sempre uguale. Invece Grasso, complice di Serres, evoca anche la forza ctonia della poesia-donna. Soprattutto la forza di tutto ciò che include la possibilità di una narrazione, il superamento di un interdetto….................... Un’unica avvertenza: che in nome della libertà, la guerra ai tabù non divenga un ulteriore interdetto, un obbligo…



domenica 12 agosto 2018

IL POETA HA MOLTE VITE





MACABOR EDITORE
Anteprima Editoriale

Venerdì 31 agosto 2018 uscirà, nella prestigiosa collana di poesia in 30 volumi  diretta da Bonifacio Vincenzi “I fiori di Macabor”, il libro di poesia di Dmitrij Grigor'ev, IL POETA HA MOLTE VITE,  traduzione dal russo di Paolo Galvagni (Premio Andrej Belyj a San Pietroburgo per le traduzioni nel 2014).

*** 

Il poeta ha molte vite di Dmitrij Grigor'ev è un libro che ha una sua forza espressiva notevole in cui vibra, nella metamorfosi delle sensazioni, la tensione comunicativa di un poeta straordinariamente legato alla vita. Pregevole la traduzione dal russo di Paolo Galvagni



DUE POESIE TRATTE DAL LIBRO


Ce ne staremo a bere il tè,
parleremo del bene e del male,
della crisi sulla terra,
dell'avanzamento del deserto,
dei confini contemporanei –
intesseremo, come un maglione,
la storia di questo mondo,
balenano solo i ferri,
intrecciando col Vietnam
il filo rosso della Seconda Guerra Mondiale,
ecco il nero Afgan,
ecco la verde crisi araba....
E il mio maglione è bianco-bianco,
perché lo fece la mamma,
e lei non aveva alcun interesse
per la storia di questo mondo.


*** 

Мы будем сидеть за чаем,
говорить о добре и зле,
о кризисе на земле,
о наступлении пустыни,
о современных границах –
вязать, словно свитер,
историю этого мира,
только мелькают спицы,
красную нить второй мировой
сплетая с Вьетнамом,
вот чёрный Афган,
вот зелёный арабский кризис…
А мой свитер белый-белый,
потому что вязала мама,
и ей до истории этого мира
не было никакого дела.


*** 




Il padrone del fiume

Lei arriva al fiume ogni sera
con una brocca vuota e canta piano,
perfino i cerchi sull’acqua si arrestano,
quando sentono la sua canzone

su colui che ha la pelle macchiata di masut,
su chi ha in volto non il sorriso, ma una cicatrice,
egli è nascosto tra i giunchi come il vento
e compare solo di mattina…

Le mie dita stringono un coltello affilato,
il mio cuore è una rana, la mia casa sono i giunchi,
ogni notte io impazzisco
e attendo il padrone di questo fiume,

io diventerò lui, e lui diventerà morte,
io diventerò vento, lui diventerà nessuno,
il mio bottino è soltanto il cuore
di colei che arriva a questo fiume.


***

ХОЗЯИН РЕКИ

Она приходит к реке каждый вечер
с кувшином пустым и тихо поёт,
даже круги на воде застывают
когда слышат песню её

о том, чья кожа в мазутных пятнах,
у кого на лице не улыбка, а шрам,
он в камышах словно ветер спрятан
и появляется лишь по утрам…

Острый нож мои пальцы сжимают,
мое сердце – лягушка, мой дом – тростники,
каждую ночь схожу с ума я
и жду хозяина этой реки,

я стану им, а он станет смертью,
я стану ветром, он станет никем,
ведь добыча моя – всего лишь сердце
той, что приходит к этой реке.




L’AUTORE

Dmitrij Grigor’ev è nato nel 1960 a Leningrado-Pietroburgo, dove vive tuttora. Si è laureato in chimica presso l'ateneo leningradese. Ha svolto i lavori più diversi: cementista, carpentiere, decoratore, redattore, copywrighter, etc. Ha lavorato come fuochista nelle sale caldaie. È poeta e prosatore. Autentico viaggiatore, ha girato in autostop molti Paesi d'Europa e d'Asia. Fino al 1989 ha pubblicato nel samizdat, in edizioni clandestine, quali “Časy”, “Obvodnyj Kanal”, “Mitin Žurnal”, “Sumerki”. Dagli anni Novanta i suoi versi sono apparsi sulle riviste “Černovik”, “Arion”, “Neva”, “Indeks”, “Rodnik”, “Mnogotočie”, “NLO”; e in volumi collettanei: Russkij verlibr [Il verso libero russo] (2002), Legko byt’ iskrennym [È facile essere sinceri] (2002). È stato tra i curatori dell'opera in cinque volumi Sobranie sočinenij – poezija Peterburga [Raccolta delle opere – la poesia di Pietroburgo] (SPb 2009-2013). Tra le raccolte poetiche: Stichi raznych let [Versi di vari anni] (SPb 1992), Perekrëstki [Incroci] (Spb 1995), Zapiski na obočine [Appunti sul ciglio della strada] (SPb 2000), Drugoj fotograf [Un altro fotografo] (M 2009), Ptič'ja psaltyr' [Salterio di uccelli] (SPb 2016). Al 2005 risale  il volume Ognennyj dvornik [Il netturbino infuocato], che comprende versi e racconti. Per la prosa: Poslednij vrag [L’ultimo nemico] (SPb 1994), Gospodin Veter [Il Signor Vento] (SPb 2002), Vse cveta Žizni [Tutti i colori della Vita] (SPb 2013).