martedì 7 ottobre 2014

"M 121" - Una storia intrigante

Una giovane e ricca rampolla dell'alta società, con un futuro radioso e qualche conflitto famigliare la cui vita viene completamente stravolta quando l'uomo che ama viene rapito da una potente organizzazione criminale. La via per salvarlo solo una: M. Un romanzo che scava impietoso nei sentimenti umani, fino alle profondità dei dubbi più angoscianti: cosa siamo disposti a perdere per poter riabbracciare la persona a cui più teniamo, quanto siamo disposti a cambiare.


Sara Belotti, giovane bergamasca classe 1993, scrive da quando ha memoria e il suo sogno più grande è quello di riuscire a raggiungere il cuore delle persone attraverso questa sua passione. “M121 è nato da una canzone. Stavo passeggiando ascoltando una brano dedicato ad un personaggio di un anime. Nella mia testa si è creata un’immagine. Era così bella che ho dovuto correre a casa a descriverla. Più mettevo nero su bianco quell’immagine, più si aggiungevano particolari. Era appena nata la mia prima scena. Mi piaceva così tanto che pensai fosse uno spreco lasciarla così, senza una cornice intorno. E fu così che inventai tutta la trama di M121”. Sara Belotti ha le idee molto chiare sul suo romanzo: “Reputo M121 una storia coinvolgente, emozionante, intrigante, a volte commovente e in alcuni punti anche ironica e divertente. Ritengo che sia una storia che potrebbe interessare principalmente un pubblico di adolescenti e di giovani adulti, e non per forza solo del gentil sesso. Sarò di parte, ma per me è stato impossibile non affezionarmi a ognuno dei personaggi. Spero che riescano a ritagliarsi un piccolo spazio nel cuore di ognuno dei miei lettori”.

Kymaera Edizioni ha tra i suoi obiettivi quello di dar voce ai giovani talenti della narrativa italiana, cuore pulsante del futuro editoriale di questo Paese. Sara Belotti è uno di questi. Ulteriori Informazioni

http://www.kymaeraedizioni.it

lunedì 29 settembre 2014

ERRANZA E DINTORNI

                                                                                                                                                                                                                                   










“ERRANZA E DINTORNI” DI FLAVIANO PISANELLI

di Bonifacio Vincenzi





Flaviano Pisanelli, Erranza e dintorni, Oxybia éditions



Scrive Edmond Jabès:

L’errante, nel dipendere dalla strada, non testimonia che le sue catene. Di questa solitudine che parla a sé per raggiungere la solitudine dell’altro, la parola è il varco e l’ áncora.

Da questa profondità anche l’errante si trova a recitare una parte, è costretto, in un certo senso, a dipendere da un copione. Anche la sua è una finta libertà e deve constatare, suo malgrado, che gli ampi spazi che si aprono davanti a lui non rendono giustizia al suo anelito di libertà e sviluppano una dipendenza che lo spinge in una solitudine ancor più vasta dove le persone, i luoghi e le cose passano comunque. Si rimane soli, si è soli.

Quando poi l’errante è anche un poeta il discorso si fa ancora più complesso, ancor più affascinante perché la poesia, alla fine, rende giustizia alla verità e ciò che viene dalla pagina è la vita così com’è, come è stata e come sarà.

Il verso non mente mai. E la parola è sì il varco come afferma Jabès ma anche l’áncora che tiene legati alla vita che alla fine, sul piano dove la diversità sparisce, è la stessa vita che consumiamo tutti.

Questo libro di cui vi parlo è uscito in Francia, bilingue, ed unisce, in un certo senso, i lettori di due culture diverse. Ma che è un libro di poesie, di una poesia che ha scelto di percorrere i sentieri dell’inquietudine, i sentieri dell’interrogazione ma anche e soprattutto i sentieri della propria appartenenza: Erranza e dintorni (Oxybia éditions) di Flaviano Pisanelli, che ha vinto, tra l’altro, il Premio Letterario di Calabria e Basilicata 2013.





Soprattutto dintorni, sottolineerebbe Pisanelli come a dire che l’estensione del tema trattato custodisce in qualche modo il senso e il valore di uno stupore, di una meraviglia che solo la poesia riesce a scoprire nel profondo dando a volte delle risposte inaspettate.

Risulta, alla fine, fin troppo evidente ciò che qui diventa il paradosso dell’errante in cui i legami ribadiscono la loro forza attrattiva, dettano legge al cuore, al pensiero, all’anima, accompagnano il cammino da perfetti compagni di viaggio.

Il varco e l’áncora, dunque, dove voci lontane cercano il loro spazio nel verso in un esclamativo troppo sentito per esplicitare una finzione sostenuta soltanto da ragioni espressive.

E come ritornano intensi gli istanti bruciati dal tempo in questi versi che abitano nella casa-libro di Pisanelli:

Vivo e muoio nello spazio di una sillaba

rivivo in un sorriso adulto la neve materna di Montefeltro l’esclamativo dialettale che non torna.

Quanto dura il tempo della memoria!

Erranza e dintorni per cogliere quasi una rivelazione in questi due versi:

I miei piedi non sono una radice ma un solo stare incerto fra due passi

Qui c’è tutto l’universo Pisanelli. In ogni sua poesia si percepisce, a volte in modo chiaro, altre volte in modo molto vago questa sua doppia natura: una che lo spinge verso l’erranza, l’altra che comunque non riesce ad evadere dalla dimensione autentica dei legami che ininterrottamente crea.

…un solo stare incerto fra due passi … dove il centro è zona di fuga nel senso che la fuga stessa, alla fine, si mantiene nei paraggi.

Mi fermo un attimo ed apro una parentesi brevissima. Qualche tempo fa, per pubblicizzare in Calabria l’incontro con Flaviano Pisanelli e il suo libro scelsero un’ immagine molto significativa:un deserto e dei passi di un viandante che in pratica non ha punti di riferimento. C’è solo deserto e la prospettiva di un vagare senza fine.

Questa immagine rappresenta in modo mirabile l’erranza.

Ma non potrebbe mai rappresentare totalmente l’erranza intesa da Pisanelli perché mancano i dintorni.

E nei suoi dintorni c’è poco, pochissimo deserto. Nei suoi dintorni ci sono molte oasi con molta acqua e molti paesaggi, molti momenti lontani da una solitudine paziente che sa aspettare il poeta.

Pisanelli è un uomo che vive intensamente tutto ciò che attraversa. Ma è proprio nei suoi spazi di solitudine che la poesia lo raggiunge per mettere in scena un universo per il poeta.

In fondo si tratta di un rituale per macchiare una pagina e recuperare, attraverso quei segni che hanno il potere di parlare dal silenzio tracce di vita dal fertile oblio tanto caro a Jabès, momenti di libertà autentica nei dintorni, anche, della Solitudine, madre autentica di tutti i poeti.

D’altronde, scrive ancora Jabès, “ non sono mai stato se non colui che la vita mi ha consentito di essere. Così io esisto perché sono stato plasmato dal meglio e dal peggio, da tutto quello che ho amato o rifuggito; da tutto quello che ho acquisito o perduto; plasmato, secondo dopo secondo, dallo scorrere lento della vita.”

È una lezione, questa di Jabès, troppo profonda per non riguardare poeti autentici come Flaviano Pisanelli che hanno la capacità di un chiudere un libro e accommiatarsi dai propri lettori con questi quattro versi che non proverò neppure a spiegarvi ma che vi invito a viverli nel breve e immenso respiro che li accoglie:

Gli orizzonti si aprono lenti:

una tendina scucita dal vento.

Credevamo di aver dimenticato dio

perché eravamo felici.














giovedì 25 settembre 2014

SHAKIRA




LA VITA DELLA POPSTAR COLOMBIANA RACCONTATA


DA UN AUTORE CALABRESE



di Lucia Gaddo Zanovello









“Nessuno può dire con certezza da dove venga un figlio” afferma Bonifacio Vincenzi nel suo ultimo libro, Shakira, uno sguardo dal cuore, Kymaera Edizioni, 2014, “né suo padre, né sua madre” lo possono dire. Abbastanza spiazzante l’esordio, ma ciò che l’Autore sostiene è una lucida verità, se ogni genitore riflettesse attentamente su questo assunto, molti problemi legati alla genetica e all’accettazione ‘non’ incondizionata del figlio, sarebbero superati. E di sicuro ci sarebbe più amore nel mondo, più disponibilità alla comprensione reciproca, all’incontro con chi è diverso da noi nel senso più ampio dell’aggettivo. Nel caso di Shakira, si evince da queste pagine, vi è stato sempre da parte dei suoi genitori (già loro stessi un bel mix etnico!) la più grande disponibilità ad accogliere con favore ogni tipo di germoglio artistico diverso nella figlia: “tutti si sarebbero prodigati a far diventare reale la sua storia” attesta l’Autore del libro che sostiene pure: “i bambini non sognano, vivono le loro fantasie”.

Nel deprecabile caso, invece, di genitori che non comprendono o non gradiscono le attitudini dei figli: “Poi viene detto loro che tutto questo è sbagliato, che quello che esiste è solo la realtà, e tutto, in loro, lentamente muta.”

Quale prezioso insegnamento possono trarre genitori, ma anche figli contrariati dagli adulti nelle loro aspirazioni, già fin da questa prima pagina del libro, tutti comprendono a quali malefici equivoci o nel più favorevole dei casi, a quale stagnazione può portare una visione chiusa nel pregiudizio.

Si tratta di un condensato di pedagogia, di etica e filosofia dove non manca l’intensità della prosa poetica.

Ecco come Vincenzi definisce l’evento del due febbraio 1977, giorno della nascita di Shakira: “Lei stava arrivando dal liquido silenzio del mar dei Caraibi.”…“con il vagito già nella gola”. E più avanti: “Un incendio era il cielo, mentre la luna e le stelle bruciavano quel buio, fino all’alba.”

L’attesa di conoscere quale sia il proprio destino, la fatica di leggere dentro la riflessione su se stessi, il senso di smarrimento di chi è chiamato a scegliere, facendo i conti difficili con i propri limiti e con le proprie sconfitte vengono così descritti: “Niente si ascolta chiaramente dal silenzio oscuro e misterioso delle ore”…che “diventano passato, diventano nulla.”

“Solo la scrittura può osare dar voce a questo silenzio.”… “Scrittura di poesie e di canzoni.”

E una macchina da scrivere fu il primo regalo del padre di Shakira alla figlia, convinto che lei avrebbe desiderato diventare una scrittrice.

Quando Shakira ha dieci anni, nel racconto si legge questa motivazione a giustificare l’esclusione dal coro scolastico della ragazzina: “canta come una capra”. Ci sarebbe da discutere parecchio su questo episodio e Vincenzi, sia pure per cenni, non risparmia di deplorare la scarsa lungimiranza e maggiormente l’insensibilità di taluni ‘maestri’ di musica, ma enuncia un’altra fondante verità educativa, valida non solo per la vicenda umana di Shakira, ma anche per ciascuno di noi: “D’altronde il destino ha più di un modo di intervenire per guidare il percorso dei predestinati e certi ostacoli, a volte, per quanto fastidiosi e demoralizzanti, risulteranno poi tanto dolorosi quanto opportuni”. “A lei questa sofferenza servì a forgiare il carattere più che a indebolirlo”… “Tutte le finestre della vita si affacciano sul mondo. È una questione di scelte. Se decidi di tenerle chiuse, vedrai poco o nulla. Se invece decidi di aprirle, tutto diventa possibile.”

Notevoli risultano anche le pagine sul ‘superamento dei limiti’, per scriverle l’Autore chiama a testimoni Kafka (con il racconto del guardiano della porta di Davanti alla legge) e più avanti Gibran con il suo dettato per vivere la vita pienamente, riassunto in “slancio, sapere, lavoro, amore”.

Si deve amare ciò che si fa, di qualunque cosa ci si occupi. Di Shakira dice Vincenzi: “i suoi limiti non erano corpi estranei separati da lei ma peculiarità al suo completo servizio”. E una perla di saggezza per i lettori: “La fortuna non ama i disperati, non ama i senza speranza. La fortuna è molto sensibile verso i sognatori. E Shakira è una sognatrice disciplinata.”

“Semplicità e determinazione” risultano essere le punte di diamante di questa artista e di far vivere e rivivere il bambino che c’è in noi, è il consiglio che leggiamo diffusamente fra le righe di questo libro.

“Alla fine pare che la bambina in lei non solo sia sopravvissuta, ma che sia anche totalmente al timone della sua vita” dichiara l’Autore.

Ecco come Bonifacio Vincenzi parla, stavolta in poesia, dei movimenti della danza, particolarmente di quella tribale del Tamil Nad che, combinata con altri stili, caratterizza le movenze della cantautrice colombiana: “Nel transitorio corpo vivente, due correnti lottano. Una vuole salire verso il cielo, verso/ l’anima, l’altra scendere verso la terra, verso la materia./ La lotta è il ritmo/…Un piede sulla terra, l’altro nel vuoto”… “Siamo fatti di fango e di sogni…/ Siamo fatti di libertà e di schiavitù/…siamo fatti di luce e di tenebre/…Siamo fatti di amore e di odio…”… “Vecchie moltitudini precipitano ogni giorno, giovani moltitudini risalgono ogni giorno…”… “L’uomo vince e perde ogni giorno”… “Dio è saggio…Dio è folle”… “Niente fa paura.. Tutto fa paura…/ La paura è il ritmo”…”Corpi si muovono…immergendosi l’uno nell’altro…/L’incendio è il ritmo.”

E possiamo visualizzare nitidamente l’incontenibile figuretta della popstar colombiana sprigionare energia nella sua danza liberatoria e sensuale.

Più avanti Vincenzi dice ancora della danza tribale: “Buoni e malvagi si muovono all’unisono” … “Il mondo c’è ma è lontano. Le differenze ci sono ma sono lontane./ Potere della musica. Potere del canto. Potere del ritmo…”. Versi che rinnovano davvero la magia seducente della musica tribale e anche la forza galvanizzante delle movenze cadenzate della popstar, il magnetismo del ritmo dei concerti di Shakira.

Non manca l’apporto del significato di alcuni miti a consolidare quanto su amore e morte viene detto dall’Autore: “il mito dell’amore ‘di due anime in una, per sempre’ di Filemone e Bauci o dei gemelli Castore Polluce; si spiega come ogni dualismo, fra Terra e Cielo, concreto e astratto, bene e male, sia in realtà lo slancio irresistibile verso l’Uno.

Magia avvenuta anche per gli Album gemelli di grande successo di Shakira, pubblicati in lingua spagnola e in inglese alla fine del 2005 con le sue venti canzoni migliori, Oral Fixation, voll. 1 e 2, che trattano della ‘fissazione orale’ nel bambino, ma anche nell’adulto, riassumibili nelle quattro azioni privilegiate secondo l’artista colombiana: mangiare, cantare, ridere e parlare. E quanto della nostra vita e della nostra comunicazione fra esseri passa realmente attraverso la nostra bocca…

A proposito della famosa frase che fu detta a commento di Cent’anni di solitudine di Gabriel García Màrquez, universalmente considerato un capolavoro letterario, vale a dire che quel libro sembra scritto da un bambino di otto anni, Bonifacio Vincenzi commenta così: “…se è vero che l’uomo è un essere pensante, è altrettanto vero che le sue grandi opere vengono compiute quando non calcola e non pensa, quando va oltre i confini dell’Io e ridiventa come un bambino ancora ignaro di se stesso.” E afferma: “La poesia di sicuro accoglie tutte le risposte alle domande che l’Umanità continua a farsi. Le persone, però, sono troppo distratte da futili ambizioni per interessarsi minimamente al proprio destino.”

Sembra paradossale, ma purtroppo è veramente così, si perde di vista l’essenziale realizzazione del proprio destino, disperdendo energie e giornate in mille rivoli annoiati che portano a nulla.

Un’ulteriore occasione di riflessione la incontriamo verso la fine del libro dove, discorrendo della recente maternità di Shakira (già peraltro in attesa del secondo figlio) che forse è portata a vedere in tale evento capitale nella vita di ogni donna solo speranza e positività, il nostro Autore, a margine del pensiero di Georg Groddeck, ammette forse amaramente: “…un altro vincolo fatale legherà per sempre la madre al bambino. Un vincolo sorretto da un profondo senso di colpa. Una madre, in fondo, è una culla e una tomba, è colei che dà la vita perché si muoia.”

È un altro modo di vedere e di pensare la maternità, sul quale anch’io mi sono soffermata a lungo, tanto che rimango fervente sostenitrice dell’adozione di bimbi già nati, atto forse più illuminato che generarne di nuovi, ma sèguita anche a confortare e a sorreggere l’alternativa a beneficio della continuazione naturale della specie, una mia personale convinzione, che in qualche modo potrebbe legarsi al concetto esposto in esordio da Bonifacio Vincenzi e cioè l’asserzione che ‘nessuno sa da dove venga un figlio’.

Sono persuasa, infatti, che in qualche modo ‘si scelga’ di venire al mondo; dunque, rifiutarsi da parte di una donna di dar luogo a nuove vite, almeno per il periodo in cui ella è in grado di darne il transito, diventerebbe una rinunzia a collaborare con lo spirito che opera per l’eternità dell’amore, sarebbe d’ostacolo alla spinta misteriosa di ‘un altro’ che desidera ardentemente di intervenire nel mondo, vorrebbe dire rigettare la possibilità di farsi strumento di intromissione e di cooperazione di nuove creature fra noi.

Shakira, uno sguardo dal cuore è un libro scritto certamente per celebrare un’artista, nondimeno, come si arguisce, è un’occasione importante per parlare di molto, per suggerire domande e risposte cruciali sulle quali riflettere.

Poetica e insieme filosofica risulta anche la conclusione del libro: “Ad un certo punto arriva il momento in cui comprendi che è tutto finito. La parola vuole andarsene… Per un libro, però, è un po’ diverso. Sai che devi chiudere, trovi il modo migliore per farlo. La parola si ferma, tu te ne vai, ma tutto ciò che è stato” e in questo caso, ‘che è scritto’, tuttavia, “rimane per sempre.”