Stelvio Di Spigno:
il
personale sentire di un poeta
autentico
di
Bonifacio Vincenzi
“Parlo di età: adesso,
allora. Ma quale è la mia vera età di oggi, se le contiene tutte, nessuna
consumata, nessuna maturata, tanto che non riesco a seguire il trapasso all’una
all’altra? Mi pare di vederle tutte allineate, parallele e discordi, cavalli
malamente assortiti, aggiogati allo stesso carro.”
Così scriveva la scrittrice
napoletana Clotilde Marghieri nel suo romanzo più famoso, Amati enigmi, pubblicato da
Vallecchi nel 1974 e vincitore del Premio Viareggio.
Gli amati enigmi toccano anche il poeta napoletano Stelvio Di
Spigno che al contrario della Marghieri sembra voler fare delle distinzioni tra
un’età e l’altra. Questa sua Fermata nel
tempo (Marcos Y Marcos), nel peccato del cambiamento, dove il lutto non si
addice alla corsa del tempo, è, in
realtà, una fermata nella Poesia, che è l’unica e fedele custode di tutte le età.
Stelvio Di Spigno è un
poeta autentico, un poeta che merita un posto di riguardo nel panorama della
poesia italiana contemporanea.
Vogliamo parlare della sua
sensibilità? Una sensibilità sofferta, messa a dura prova dalla durezza di un
mondo che riconosce a stento il respiro di un’umanità sempre più
confinata in una dimensione quasi
inaccessibile …
“C’è sempre un anno che precede, con una voce corta/ che ti dice che è
giusto partire, rimescolare/ le frasi, fare a pugni coi desideri e le
intenzioni,/ e c’è sempre un anno nuovo, nel quale è doloroso/ tornare,
rivedere volti appesantiti, anche se di poco,/ perché poco il mondo si è spostato, giorno per giorno,/
mentre pensavi che tutto passasse a rilento./ E ora eccomi qua, nella stanza
come nuova,/ tra pareti che non parlano più, e che a stento,/ se potessero parlare,
mi riconoscerebbero …” (La voce corta).
La vita, in fondo, è
questo immaginare di andare avanti, questo far finta di credersi cambiati. In
realtà sono solo i corpi che invecchiano: dentro non si cambia. Se si cambiasse
solo in minima parte, l’esistenza non confinerebbe con gli abissi dei
rimpianti.
Poeti come Di Spigno, con intelligenza e sensibilità, tormentano il loro personale sentire, per
richiamare la Poesia, l’unica casa edificata vicina ai panorami dell’ eternità.
E tutto questo “privilegio” ha un prezzo molto alto pagato con la moneta della
sofferenza …
“Il ricordo mi distrugge
eppure/ ascoltare le campane/ altrove mi riporta/ alle calle della vecchia chiesa,/
a mio zio che le metteva sull’altare/ senza lasciarmi la mano …” (sottrazione,
4)
Un’altra fermata nel passato mentre un’aura si
veste di parole e, per dirla con Umberto Fiori, che ha scritto la prefazione al
libro, “il male di vivere è là, solido e trionfante, ma la poesia sa
affrontarlo a occhi asciutti, sa addirittura cantarlo.”
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