sabato 4 luglio 2015

Fermata del tempo








Stelvio Di Spigno:
il personale sentire di un poeta autentico
di Bonifacio Vincenzi



“Parlo di età: adesso, allora. Ma quale è la mia vera età di oggi, se le contiene tutte, nessuna consumata, nessuna maturata, tanto che non riesco a seguire il trapasso all’una all’altra? Mi pare di vederle tutte allineate, parallele e discordi, cavalli malamente assortiti, aggiogati allo stesso carro.”
Così scriveva la scrittrice napoletana Clotilde Marghieri nel suo romanzo più famoso, Amati enigmi,  pubblicato da Vallecchi nel 1974 e vincitore del Premio Viareggio.
Gli amati enigmi toccano anche il poeta napoletano Stelvio Di Spigno che al contrario della Marghieri sembra voler fare delle distinzioni tra un’età e l’altra. Questa sua Fermata nel tempo (Marcos Y Marcos), nel peccato del cambiamento, dove il lutto non si addice alla corsa del tempo,  è, in realtà, una fermata nella Poesia, che è l’unica  e fedele custode di tutte le età.
Stelvio Di Spigno è un poeta autentico, un poeta che merita un posto di riguardo nel panorama della poesia italiana contemporanea.
Vogliamo parlare della sua sensibilità? Una sensibilità sofferta, messa a dura prova dalla durezza di un mondo che riconosce a stento il respiro di un’umanità sempre più confinata in  una dimensione quasi inaccessibile …
C’è sempre un anno che precede, con una voce corta/ che ti dice che è giusto partire, rimescolare/ le frasi, fare a pugni coi desideri e le intenzioni,/ e c’è sempre un anno nuovo, nel quale è doloroso/ tornare, rivedere volti appesantiti, anche se di poco,/ perché poco  il mondo si è spostato, giorno per giorno,/ mentre pensavi che tutto passasse a rilento./ E ora eccomi qua, nella stanza come nuova,/ tra pareti che non parlano più, e che a stento,/ se potessero parlare, mi riconoscerebbero …” (La voce corta).
La vita, in fondo, è questo immaginare di andare avanti, questo far finta di credersi cambiati. In realtà sono solo i corpi che invecchiano: dentro non si cambia. Se si cambiasse solo in minima parte, l’esistenza non confinerebbe con gli abissi dei rimpianti.
Poeti come Di Spigno, con intelligenza e sensibilità, tormentano il loro personale sentire, per richiamare la Poesia, l’unica casa edificata vicina ai panorami dell’ eternità. E tutto questo “privilegio” ha un prezzo molto alto pagato con la moneta della sofferenza …
“Il ricordo mi distrugge eppure/ ascoltare le campane/ altrove mi riporta/ alle calle della vecchia chiesa,/ a mio zio che le metteva sull’altare/ senza lasciarmi la mano …” (sottrazione, 4)
Un’altra fermata nel passato mentre un’aura si veste di parole e, per dirla con Umberto Fiori, che ha scritto la prefazione al libro, “il male di vivere è là, solido e trionfante, ma la poesia sa affrontarlo a occhi asciutti, sa addirittura cantarlo.”


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