Cecchinel e il
rituale del fuoco
di
Bonifacio Vincenzi
Un poeta autentico?
Luciano Cecchinel lo è
sicuramente. E dimostra di esserlo, caso mai ce fosse bisogno, anche in questa
sua ultima raccolta, Da un tempo di profumi e gelo, edita
qualche mese fa da LietoColle. La silloge è stata inserita nella prestigiosa collana
“Giallo Oro” condivisa ogni anno, in occasione del festival, dall’editore con “pordenonelegge”.
È stata una raccolta
sofferta e costantemente "in pericolo", come sono un po’ tutte le raccolte di
poesie di Cecchinel...
“Le molte revisioni cui
sottopongo i miei esiti di scrittura – spiega ai suoi lettori Cecchinel in una
nota - , anche per certa carenza di convinzione e relativa insoddisfazione di
risultati, mi portano a dei ritocchi progressivi e, anche se sono stato in più
occasioni consigliato di conservare le versioni precedenti, dopo aver
registrato per dattiloscrittura i nuovi stati di avanzamento, le getto
sistematicamente nel fuoco, con un senso di soddisfatta ritualità, ad ogni modo
scevra di incrostazioni propiziatorie.”
Dopo una lunghissima e
soddisfatta ritualità d’attesa, finalmente la raccolta è salva dalle fiamme di
quel fuoco tanto caro al poeta.
Il tessuto linguistico
delle poesie raccolte in questo volume appare di sicuro l’abito perfetto per la
Poesia, quella vera.
Il suo è “un io lirico soggettivo e plurimo nella sua conformazione – scrive giustamente Rolando Damiani nella postfazione al libro - fisiologicamente tradizionale, dunque imparentata alla lontana
con progenitori classici e italiani, vaga nel «lucore» speculare della luna e
di un lago, che noi sappiamo essere non immaginario ma reale e da lui visibile
come sfondo abituale e nativo.”
La poesia in questo libro c’è, insomma. Si
fa apprezzare, si fa sentire in profondità regalandoci parte del mondo di un
uomo e un poeta che sicuramente ha un rapporto particolare e intrigante con la poesia che
abita dentro di lui …
“Profumi semplici/ di ortiche e di sambuchi,/ dallo smarrimento dei
ghiacci/ e delle nevi/ innocenti lusinghe/ sotto le volte umili di aprile.//
Ingenui vaghi/ di stupori stellati di narcisi/ e di segreti bisbigliati/ di
viole, garofani e gigli/ per i diversi/ misteri dei cammini.// E densi di
mughetti, gelsomini/ e rose, ciclamini,/ acacie e tigli,/ offerte rugiadose/
lungo i cigli dei boschi/ a perdizione.// Ma poi di menta e timo/ il sospeso
sospiro/ entro la morte/ dolcissima del fieno/ come la grazia/ mansueta del
perdono.//
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tra
candele di ghiaccio,/ lungo trine di brina/ – ricordo, promessa d’amore –/
l’aspersa pura/ benedizione/ del calicanto in fiore.”
(Funzione di profumi).