“ERRANZA E DINTORNI” DI FLAVIANO PISANELLI
di Bonifacio Vincenzi
Flaviano Pisanelli, Erranza e dintorni, Oxybia éditions
Scrive Edmond Jabès:
L’errante, nel dipendere dalla strada, non testimonia che le sue catene. Di questa solitudine che parla a sé per raggiungere la solitudine dell’altro, la parola è il varco e l’ áncora.
Da questa profondità anche l’errante si trova a recitare una parte, è costretto, in un certo senso, a dipendere da un copione. Anche la sua è una finta libertà e deve constatare, suo malgrado, che gli ampi spazi che si aprono davanti a lui non rendono giustizia al suo anelito di libertà e sviluppano una dipendenza che lo spinge in una solitudine ancor più vasta dove le persone, i luoghi e le cose passano comunque. Si rimane soli, si è soli.
Quando poi l’errante è anche un poeta il discorso si fa ancora più complesso, ancor più affascinante perché la poesia, alla fine, rende giustizia alla verità e ciò che viene dalla pagina è la vita così com’è, come è stata e come sarà.
Il verso non mente mai. E la parola è sì il varco come afferma Jabès ma anche l’áncora che tiene legati alla vita che alla fine, sul piano dove la diversità sparisce, è la stessa vita che consumiamo tutti.
Questo libro di cui vi parlo è uscito in Francia, bilingue, ed unisce, in un certo senso, i lettori di due culture diverse. Ma che è un libro di poesie, di una poesia che ha scelto di percorrere i sentieri dell’inquietudine, i sentieri dell’interrogazione ma anche e soprattutto i sentieri della propria appartenenza: Erranza e dintorni (Oxybia éditions) di Flaviano Pisanelli, che ha vinto, tra l’altro, il Premio Letterario di Calabria e Basilicata 2013.
Soprattutto dintorni, sottolineerebbe Pisanelli come a dire che l’estensione del tema trattato custodisce in qualche modo il senso e il valore di uno stupore, di una meraviglia che solo la poesia riesce a scoprire nel profondo dando a volte delle risposte inaspettate.
Risulta, alla fine, fin troppo evidente ciò che qui diventa il paradosso dell’errante in cui i legami ribadiscono la loro forza attrattiva, dettano legge al cuore, al pensiero, all’anima, accompagnano il cammino da perfetti compagni di viaggio.
Il varco e l’áncora, dunque, dove voci lontane cercano il loro spazio nel verso in un esclamativo troppo sentito per esplicitare una finzione sostenuta soltanto da ragioni espressive.
E come ritornano intensi gli istanti bruciati dal tempo in questi versi che abitano nella casa-libro di Pisanelli:
Vivo e muoio nello spazio di una sillaba
rivivo in un sorriso adulto la neve materna di Montefeltro l’esclamativo dialettale che non torna.
Quanto dura il tempo della memoria!
Erranza e dintorni per cogliere quasi una rivelazione in questi due versi:
I miei piedi non sono una radice ma un solo stare incerto fra due passi
Qui c’è tutto l’universo Pisanelli. In ogni sua poesia si percepisce, a volte in modo chiaro, altre volte in modo molto vago questa sua doppia natura: una che lo spinge verso l’erranza, l’altra che comunque non riesce ad evadere dalla dimensione autentica dei legami che ininterrottamente crea.
…un solo stare incerto fra due passi … dove il centro è zona di fuga nel senso che la fuga stessa, alla fine, si mantiene nei paraggi.
Mi fermo un attimo ed apro una parentesi brevissima. Qualche tempo fa, per pubblicizzare in Calabria l’incontro con Flaviano Pisanelli e il suo libro scelsero un’ immagine molto significativa:un deserto e dei passi di un viandante che in pratica non ha punti di riferimento. C’è solo deserto e la prospettiva di un vagare senza fine.
Questa immagine rappresenta in modo mirabile l’erranza.
Ma non potrebbe mai rappresentare totalmente l’erranza intesa da Pisanelli perché mancano i dintorni.
E nei suoi dintorni c’è poco, pochissimo deserto. Nei suoi dintorni ci sono molte oasi con molta acqua e molti paesaggi, molti momenti lontani da una solitudine paziente che sa aspettare il poeta.
Pisanelli è un uomo che vive intensamente tutto ciò che attraversa. Ma è proprio nei suoi spazi di solitudine che la poesia lo raggiunge per mettere in scena un universo per il poeta.
In fondo si tratta di un rituale per macchiare una pagina e recuperare, attraverso quei segni che hanno il potere di parlare dal silenzio tracce di vita dal fertile oblio tanto caro a Jabès, momenti di libertà autentica nei dintorni, anche, della Solitudine, madre autentica di tutti i poeti.
D’altronde, scrive ancora Jabès, “ non sono mai stato se non colui che la vita mi ha consentito di essere. Così io esisto perché sono stato plasmato dal meglio e dal peggio, da tutto quello che ho amato o rifuggito; da tutto quello che ho acquisito o perduto; plasmato, secondo dopo secondo, dallo scorrere lento della vita.”
È una lezione, questa di Jabès, troppo profonda per non riguardare poeti autentici come Flaviano Pisanelli che hanno la capacità di un chiudere un libro e accommiatarsi dai propri lettori con questi quattro versi che non proverò neppure a spiegarvi ma che vi invito a viverli nel breve e immenso respiro che li accoglie:
Gli orizzonti si aprono lenti:
una tendina scucita dal vento.
Credevamo di aver dimenticato dio
perché eravamo felici.