Il “Quadernario” di
LietoColle:
una grande opportunità per
conoscere i nuovi poeti
di
Bonifacio Vincenzi
“I confini di un libro –
scrive Michel Foucoult – non sono mai netti né rigorosamente delimitati: al di
là del titolo, delle prime righe e del punto finale, al di là della sua
configurazione interna e della forma che lo rende autonomo, esso si trova preso
in un sistema di rimandi ad altri libri,
ad altri testi, ad altre frasi …” Il nodo di un reticolo, insomma, e non se ne
esce, perché la bellezza di un libro sta proprio in queste infinite relazioni,
( a volte volute, a volte no), e al pulsante mistero che le accompagna.
Per quanto riguarda
l’opera di cui ci apprestiamo a parlare, il secondo Quadernario – Almanacco di poesia contemporanea, a cura di Maurizio
Cucchi, (LietoColle, 2015) il discorso si fa leggermente più complesso. C’è un
antefatto genetico su cui vale la pena soffermarsi un po’.
È abbastanza recente la
decisione della Mondadori ( non il grande Mondadori, quello, per intenderci,
che ha contribuito a scrivere le pagine mitiche della letteratura italiana del
novecento, ma quello attuale, quello che pubblica, in gran parte, le opere ( o le ”operette”) dei presentatori,
dei cantanti, degli attori, per seguire scrupolosamente le leggi del mercato e
far quadrare i conti) di non pubblicare più l’Almanacco dello Specchio, decisione che, a detta di molti, potrebbe portare di fatto, prima o poi, alla
definitiva cancellazione della stessa collana di poesia “Lo Specchio”.
Una scelta che ha fatto
discutere. Qualcuno ha parlato della morte della poesia, altri di logiche di
mercato, altri ancora di una visione del mondo e sul mondo che cambia. Un’infinità
di parole insomma messe in circolo, all’inizio con continuità e vigore e che
poi si sono disperse in questo vuoto che quotidianamente ci sovrasta. Ma ora,
in questo contesto, anche per meglio comprendere le ragioni di questa
operazione editoriale fortemente voluta da un editore intelligente e
appassionato come Michelangelo Camelliti, una breve riflessione bisogna pur
farla. Che l’Almanacco dello Specchio
e la stessa collana di poesia non andassero ad arricchire le casse della
Mondadori era risaputo. Si trattava di tirature di qualche migliaio di copie,
la maggior parte delle quali invendute e poi destinate al macero. Si
continuavano a stampare per il loro valore simbolico, rappresentavano, in
pratica, una continuità con il proprio passato e la propria storia.
Arnoldo
Mondadori, Giulio Einaudi, Valentino Bompiani, Angelo Rizzoli, all’inizio della
loro storia, erano editori prima di tutto appassionati. Pubblicavano i libri e
gli autori che amavano. Avevano fiuto perché,
quasi sempre, i libri che loro amavano erano anche quelli amati dal popolo dei
lettori. Memorabili i loro carteggi con i grandi autori del Novecento, i loro autori. Erano altri tempi, certo.
C’era una concezione diversa della vita, dei rapporti umani e della
consapevolezza di essere comunque protagonisti di un progetto importante,
destinato ad entrare nella storia. Ma c’era anche una politica editoriale
diversa che si preoccupava costantemente di sostenere un lavoro di ricerca e
valorizzazione di nuovi autori.
A mio avviso non è
pensabile che un Editore come Mondadori possa cancellare definitivamente la
poesia dai suoi programmi. Sarebbe una frattura con il proprio passato troppo
evidente che potrebbe aprire una voragine letale. Quello che è certo, però, è
che “Lo Specchio”, negli ultimi vent’anni non è stato più quello che ci ha
fatto conoscere poeti come Quasimodo, Ungaretti, Montale, Giudici, Zanzotto,
solo per fare qualche nome. Se andiamo a dare un’occhiata agli autori
pubblicati ci accorgiamo che
l’inserimento nella prestigiosa collana di poesia è diventato una specie di contentino per le velleità poetiche di
giornalisti di grandi quotidiani ed emittenti televisive importanti,
traduttori, critici, di persone, insomma
direttamente o indirettamente funzionali alle esigenze promozionali dell’intera produzione
editoriale della casa editrice.
Una politica anche legittima, per carità, ma
che doveva essere contenuta, senza lasciarsi prendere la mano, come poi
puntualmente è avvenuto. Questi poeti
senza qualità alla fine hanno invaso il campo oscurando quasi totalmente la
Poesia, quella vera. E anche l’Almanacco
dello Specchio ha finito, in gran parte, per sposare questa politica
assurda e suicida.
In Italia, per fortuna, ci
sono editori coraggiosi che alla poesia,
ci credono. Scheiwiller prima, Crocetti, LietoColle, Raffaelli, ora
hanno continuato a cercare ed accogliere nei loro cataloghi la Grande
poesia.
Quindi non c’è da
sorprendersi se Michelangelo Camelliti (e il suo LietoColle) si sia sentito in
dovere di seguire la scia lasciata dall’Almanacco
dello Specchio presentando periodicamente questo Quadernario che rappresenta un vero lavoro di ricerca e
valorizzazione dei nuovi poeti. Curato da Maurizio Cucchi, un nome che rappresenta
una continuità di quanto di positivo c’era nell’Almanacco della Mondadori, il
volume, di ben quattrocento e tredici pagine, presenta trentasei poeti italiani
e stranieri.
“Il secondo numero del Quadernario prosegue nella sua linea, a
nostro avviso chiara e aperta, che è
quella di proporre, volta a volta, autori di letterature e generazioni
differenti. Ed ecco dunque, accanto a quello che, in questa antologia di
inediti, possiamo considerare il decano, e cioè Arnaldo Ederle (nato nel ’36),
alcuni giovani o addirittura giovanissimi, come Antonella Chionna ( nata nel ’90,
ma altri ne proponiamo, nati alla fine degli anni ’80) che ci danno modo di
cogliere,insieme, la continuità e le evidenti – ma non certo decisive – varie
impostazioni di orientamento e tono che si sono manifestate nella nostra poesia
nell’amplissimo arco di esperienze e di condizioni storiche così diverse.”
Così inizia la prefazione
di Cucchi ed è un chiaro messaggio di quello che è l’anima che caratterizza
questo percorso di ricerca aperto a poeti di generazioni diverse.
La prima parte del Quadernario è dedicata ai poeti
stranieri: Marco Antonio Campos
(Messico); Jorge Boccanera (Argentina);
Radmila Lazić (Serbia); Jean- Charles
Vegliante (Francia); Marga Clark (Spagna).
Autori di talento tradotti in modo
eccellente rispettivamente da Martha L.
Canfield, Alessio Brandolini, Ginevra Pugliese, Mario Benedetti e Roberta
Buffi.
La seconda e la terza
parte raccoglie le brevi sillogi dei poeti italiani Lorenzo Caschetta, Massimo
Daviddi, Igor De Marchi, Antonio Di Mauro, Letizia Dimartino, Arnaldo Ederle,
Mario Fresa, Renato Minore, Francesca Moccia, Ottavio Rossani, Luigia
Sorrentino, Dina Basso, Stefania Buiat, Roberto Cescon, Antonella Chionna,
Stelvio Di Spigno, Francesca Donazzan, Andrea Leonessa, Pietro Simon Ostan,
Michele Porsia, Giulia Rusconi.
Prima di concludere una
nota bella. Ho molto apprezzato la decisione di Maurizio Cucchi di inserire nel
Quadernario Dina Basso, nipote del mai dimenticato poeta
dialettale siciliano Salvo Basso, morto prematuramente, nel 2002, all’età di
trentanove anni. Il fatto che sua nipote, una poetessa di grande talento, abbia
deciso di scrivere in dialetto siciliano, dimostra quanto la figura di suo zio
sia sta importante nella sua vita. D’altronde la stessa Dina Basso lo rivela in
un’intervista di qualche tempo fa: “Mio
zio è stato quello che mi ha fatto
scoprire il potenziale espressivo del dialetto ma era un intellettuale quindi
una figura di riferimento sin da piccola, sicuramente un modello positivo.”
E questo, lo ammetto, mi
ha emozionato molto, perché mi ha ricordato Salvo, la sua passione politica e
intellettuale a favore della valorizzazione e trasmissione della cultura delle
tradizioni del catanese soprattutto nel mondo della scuola. E il fatto che
ora Dina Basso, a grandi livelli, abbia
raccolto questa eredità, assume un significato particolarmente positivo, in
questo mondo dalla memoria sempre più corta.
Immagini in ordine di
apparizione: 1. copertina del libro, 2. Maurizio
Cucchi, 3. Arnaldo Mondadori, 4. Michelangelo Camelliti in Calabria tra
Bonifacio Vincenzi (a sinistra, di spalle) e Oreste Bellini, 5. Dina Basso.