Ko
Un ovvero il poeta del presente
di Bonifacio Vincenzi
Ezra
Pound scriveva che “ certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento; letti una volta, vi serviranno per il resto
della vita.” Sicuramente L’isola che
canta (LietoColle) del poeta sudcoreano Ko Un è uno di questi. È un libro bellissimo curato e tradotto
con competenza e passione da Vincenza D’Urso, docente di lingua
e letteratura coreana all’Università Ca’ Foscari di Venezia.
“Non rinascerò umano./ Mai più.// Nella mia
prossima vita/ mi basterà nascere animale./ Non uno grande./ Mi basterà essere
uno piccolo./Persino/ così piccolo da essere invisibile./ Basterà che io sia
un’ameba.// Non era questo il mio desiderio, anni fa./ Tornando da umano/non
avrei voluto essere uomo, / bensì una donna buona o cattiva che ha perso sette/
dei suoi undici figli.// Ho deciso. Nella mia prossima vita non rinascerò mai
più umano.” ( La prossima vita)
Una
poesia significativa, questa. La dice lunga sull’uomo e su quello che di terribile è capace di fare
nella vita, nel mondo. E la dice lunga
anche sulle grandi capacità espressive del poeta coreano.
Ko
Un nasce nel 1933 durante l'occupazione giapponese in una cittadina della
regione settentrionale della Corea e sarà il testimone delle vicende dolorose
che il suo Paese dovrà affrontare nell'arco di numerosi decenni: dalla
dominazione coloniale, agli orrori della Seconda guerra mondiale, dalla guerra
fratricida della Corea del 1950-53 alla divisione del territorio al
trentottesimo parallelo dopo la Guerra Fredda, dalle numerose dittature
militari per giungere negli anni novanta a testimoniare una "pacifica
rivoluzione" che conduce alla guida della Repubblica di Corea come governo
democratico e progressista.
Nel
1952, stanco degli orrori visti, trova rifugio nella religione e diventa monaco
buddista dedicandosi allo studio della meditazione Zen con il maestro Hyobong. Viaggia per
alcuni anni senza sosta vivendo di elemosina finché nel 1957, insieme ad un
altro monaco, fonda il "Buddhist Newspaper" e ne diventa il direttore.
Riprende così l'impegno poetico e inizia a pubblicare saggi e poesie.
Nel
1962, deluso ancora una volta dalla corruzione che vige nel clero buddista,
decide di abbandonare la vita monastica per riprendere le vesti di laico e lo
dichiara sul quotidiano "Hankook Ilbo" con un Manifesto di
rinuncia. Per tre anni, dal 1963 al 1966, vive sull'isola Cheju dove
insegna gratuitamente coreano e arte in una scuola di carità.
Ko
Un ha pubblicato oltre centoventi volumi, tra cui molti volumi di poesia, varie
opere di narrativa (in particolare narrativa buddista), autobiografia, teatro,
saggi, traduzioni dal cinese classico, libri di viaggi, ecc. Selezioni di sue
opere sono state tradotte in inglese (6-7 volumi), spagnolo (4-5 volumi),
italiano, francese, tedesco, giapponese, cinese, vietnamita, ceco, bulgaro,
svedese e danese.
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