venerdì 22 gennaio 2016

L'assedio di Famagosta







Guglielmo Aprile:
una vita da assediato
di Bonifacio Vincenzi

Edvard Munch  nei suoi diari scrive: “Conoscete il mio quadro l’Urlo? Ero al limite delle mie forze – completamente esausto. La natura urlava attraverso le mie vene – stavo precipitando nell’abisso (…)Conoscete i miei dipinti,  in loro potete vedere ciò che ho vissuto.” A Munch l’arte ha salvato la vita nel senso che tutto il carico di dolore, di angoscia non gli è esploso completamente in testa solo perché ha trovato uno sbocco in una liberatoria trasposizione in immagini sulla tela.

Ora, leggendo questo ultimo libro di Guglielmo Aprile, L’assedio di Famagosta (LietoColle), parafrasando Munch, a proposito di Aprile possiamo immaginare che ci dica: Conoscete le mie poesie,  leggendole potete sentire ciò che ho vissuto.

Sì, perché la sensazione è la stessa che con Munch: il suo vissuto inconscio pesca dall’antro del suo dolore interiore una quantità impressionante di immagini e sensazioni inconsciamente modificate. Tutta questa massa è in continuo movimento e la spinta verso la coscienza è forte e pericolosa perché  ogni passaggio nella mente equivale ad una vero e proprio attacco alieno.

In questo senso l’Arte, la Poesia davvero salvano la vita e il sentirsi come si sente, a mio avviso, Aprile, un assediato di Famagosta, non è affatto una condizione negativa ma evidenzia nettamente una forza e un coraggio straordinario.

Questo perché la difesa di Famagosta fu una delle pagine più drammatiche e gloriose della storia veneziana.  Nel 1571 il prefetto civile Marcantonio Bagadin e il capitano di ventura Astorre Baglioni con un esercito veneziano di 500 soldati affrontarono l’esercito ottomano di duecentomila soldati. Alla fine la fortezza fu espugnata ma all’esercito ottomano l’assedio di Famagosta costò cinquantaduemila morti.


Aprile, dicevamo, si sente come uno dei 500 soldati veneziani. Sa di non poter vincere la battaglia contro il suo malessere ma è deciso a vendere cara la pelle. Ha un’arma bianca letale: la Poesia.
Il re spodestato, rinchiuso/nella torre più alta, da solo,/sentitelo come delira!//Non ha con chi parlare, e sono mesi/che ha rinunciato al sonno; e quante volte/l’uccello bianco della follia, con la sua risata atroce,/gli è balenato dinanzi! E lo tenta/a strangolare mentre dormono i suoi parenti,/a versare liquido verde nei pozzi,/a bruciare vivi senza giustificazione/gli ambasciatori giunti a informarsi della sua salute;/a tenerlo a bada è solo/l’efficiente turnover dei carcerieri.//Lo hanno dovuto rinchiudere, si dice,/perché fuori controllo, e il suo spettro/viene ancora evocato per far paura ai bambini,/anche se in tanti/non l’hanno mai visto in faccia, e pensano persino/che sia il frutto di una superstizione.//Il re, come delira/dall’alto della sua torre! Fatelo tacere,/vi prego, fatelo tacere/o l’intero regno cadrà nello sconquasso,/diverrà ingovernabile.”

In questa poesia, come in tante altre presenti nella raccolta, è trasfigurato magnificamente lo stato d’animo tipico  di chi vive una vita da assediato che, pur scontrandosi con delle difficoltà interiori di notevole spessore, riesce a mettere in campo  uno straordinario talento poetico. Certo, la poesia non ha il potere di far scomparire il dolore interiore ma di sicuro dona senso e lenimento al quotidiano tormento.

Immagini in ordine di apparizione: 1. Copertina del libro; 2. L’urlo di Edvard Munch; 3. Guglielmo Aprile.


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