venerdì 8 gennaio 2016

L'isola che canta





Ko Un ovvero il poeta del presente
di Bonifacio Vincenzi


Ezra Pound scriveva che “ certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento;  letti una volta, vi serviranno per il resto della vita.” Sicuramente L’isola che canta (LietoColle) del poeta sudcoreano Ko Un è uno di questi. È  un libro bellissimo curato e tradotto con  competenza e  passione da Vincenza D’Urso, docente di lingua e letteratura coreana all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Non rinascerò umano./ Mai più.// Nella mia prossima vita/ mi basterà nascere animale./ Non uno grande./ Mi basterà essere uno piccolo./Persino/ così piccolo da essere invisibile./ Basterà che io sia un’ameba.// Non era questo il mio desiderio, anni fa./ Tornando da umano/non avrei voluto essere uomo, / bensì una donna buona o cattiva che ha perso sette/ dei suoi undici figli.// Ho deciso. Nella mia prossima vita non rinascerò mai più umano.” ( La prossima vita)

Una poesia significativa, questa. La dice lunga sull’uomo e  su quello che di terribile è capace di fare nella vita, nel mondo.  E la dice lunga anche sulle grandi capacità espressive del poeta coreano.

Ko Un nasce nel 1933 durante l'occupazione giapponese in una cittadina della regione settentrionale della Corea e sarà il testimone delle vicende dolorose che il suo Paese dovrà affrontare nell'arco di numerosi decenni: dalla dominazione coloniale, agli orrori della Seconda guerra mondiale, dalla guerra fratricida della Corea del 1950-53 alla divisione del territorio al trentottesimo parallelo dopo la Guerra Fredda, dalle numerose dittature militari per giungere negli anni novanta a testimoniare una "pacifica rivoluzione" che conduce alla guida della Repubblica di Corea come governo democratico e progressista.


Nel 1952, stanco degli orrori visti, trova rifugio nella religione e diventa monaco buddista dedicandosi allo studio della meditazione  Zen con il maestro Hyobong. Viaggia per alcuni anni senza sosta vivendo di elemosina finché nel 1957, insieme ad un altro monaco, fonda il "Buddhist Newspaper" e ne diventa il direttore. Riprende così l'impegno poetico e inizia a pubblicare saggi e poesie.

Nel 1962, deluso ancora una volta dalla corruzione che vige nel clero buddista, decide di abbandonare la vita monastica per riprendere le vesti di laico e lo dichiara sul quotidiano "Hankook Ilbo" con un Manifesto di rinuncia. Per tre anni, dal 1963 al 1966, vive sull'isola Cheju dove insegna gratuitamente coreano e arte in una scuola di carità.

Ko Un ha pubblicato oltre centoventi volumi, tra cui molti volumi di poesia, varie opere di narrativa (in particolare narrativa buddista), autobiografia, teatro, saggi, traduzioni dal cinese classico, libri di viaggi, ecc. Selezioni di sue opere sono state tradotte in inglese (6-7 volumi), spagnolo (4-5 volumi), italiano, francese, tedesco, giapponese, cinese, vietnamita, ceco, bulgaro, svedese e danese.

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