Guglielmo Aprile:
una vita da
assediato
di
Bonifacio Vincenzi
Edvard Munch nei suoi diari scrive: “Conoscete il mio
quadro l’Urlo? Ero al limite delle
mie forze – completamente esausto. La natura urlava attraverso le mie vene –
stavo precipitando nell’abisso (…)Conoscete i miei dipinti, in loro potete vedere ciò che ho vissuto.” A
Munch l’arte ha salvato la vita nel senso che tutto il carico di dolore, di
angoscia non gli è esploso completamente in testa solo perché ha trovato uno
sbocco in una liberatoria trasposizione in immagini sulla tela.
Ora, leggendo questo
ultimo libro di Guglielmo Aprile, L’assedio
di Famagosta (LietoColle), parafrasando Munch, a proposito di Aprile
possiamo immaginare che ci dica: Conoscete
le mie poesie, leggendole potete sentire
ciò che ho vissuto.
Sì, perché la sensazione è
la stessa che con Munch: il suo vissuto inconscio pesca dall’antro del suo
dolore interiore una quantità impressionante di immagini e sensazioni
inconsciamente modificate. Tutta questa massa è in continuo movimento e la
spinta verso la coscienza è forte e pericolosa perché ogni passaggio nella mente equivale ad una
vero e proprio attacco alieno.
In questo senso l’Arte, la
Poesia davvero salvano la vita e il sentirsi come si sente, a mio avviso,
Aprile, un assediato di Famagosta, non è affatto una condizione negativa ma
evidenzia nettamente una forza e un coraggio straordinario.
Questo perché la difesa di
Famagosta fu una delle pagine più drammatiche e gloriose della storia
veneziana. Nel 1571 il prefetto civile
Marcantonio Bagadin e il capitano di ventura Astorre Baglioni con un esercito
veneziano di 500 soldati affrontarono l’esercito ottomano di duecentomila soldati.
Alla fine la fortezza fu espugnata ma all’esercito ottomano l’assedio di
Famagosta costò cinquantaduemila morti.
Aprile, dicevamo, si sente
come uno dei 500 soldati veneziani. Sa di non poter vincere la battaglia contro
il suo malessere ma è deciso a vendere cara la pelle. Ha un’arma bianca letale:
la Poesia.
“Il re spodestato, rinchiuso/nella torre più alta, da solo,/sentitelo
come delira!//Non ha con chi parlare, e sono mesi/che ha rinunciato al sonno; e
quante volte/l’uccello bianco della follia, con la sua risata atroce,/gli è balenato
dinanzi! E lo tenta/a strangolare mentre dormono i suoi parenti,/a versare
liquido verde nei pozzi,/a bruciare vivi senza giustificazione/gli ambasciatori
giunti a informarsi della sua salute;/a tenerlo a bada è solo/l’efficiente
turnover dei carcerieri.//Lo hanno dovuto rinchiudere, si dice,/perché fuori
controllo, e il suo spettro/viene ancora evocato per far paura ai
bambini,/anche se in tanti/non l’hanno mai visto in faccia, e pensano
persino/che sia il frutto di una superstizione.//Il re, come delira/dall’alto
della sua torre! Fatelo tacere,/vi prego, fatelo tacere/o l’intero regno cadrà
nello sconquasso,/diverrà ingovernabile.”
In questa poesia, come in
tante altre presenti nella raccolta, è trasfigurato magnificamente lo stato
d’animo tipico di chi vive una vita da
assediato che, pur scontrandosi con delle difficoltà interiori di notevole
spessore, riesce a mettere in campo uno
straordinario talento poetico. Certo, la poesia non ha il potere di far
scomparire il dolore interiore ma di sicuro dona senso e lenimento al
quotidiano tormento.
Immagini in ordine di apparizione: 1.
Copertina del libro; 2. L’urlo di
Edvard Munch; 3. Guglielmo Aprile.
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