La poesia di Farhad
Ali Zolghadr
di
Bonifacio Vincenzi
“La magia e il tormento,
la contingenza politica e la vocazione assolutizzante di un Medio Oriente
sismico e incantato qui vengono condensati e trasmessi con la forza e la
pregnanza di una comunicazione poetica direttamente distillata da un
presupposto irrinunciabile di misticismo che non è necessariamente di timbro
religioso: il misticismo, per Zolghadr, è inesauribile afflato epifanico da
vivere umanamente e da infinitamente riconoscere nelle finalità stesse del
vivere terreno, sia pure tra miserie e rivelazioni, drammi e amori estatici,
desideri e soprassalti, fino a poter porgere al prossimo ( e il più vicino
prossimo per il poeta è il lettore) la perenne purezza della sempre insaziata
sete di scoperta.”
Queste parole di Rodolfo
Tommasi, autore della postfazione al libro di Farhad Ali Zolghadr, Sulla tenera pelle (LietoColle),
inquadrano perfettamente il senso profondo e arduo, nei versi del poeta
iraniano.
Chiaramente, c’è dell’altro.
Un senso di appartenenza forte, intimo che si esprime ripercorrendo le ragioni
del cuore …
“Ho abbandonato la terra dell’alba, nudo/ nella speranza di vestire un
nuovo abito/ una volta giunto alla terra del tramonto.// Avevo portato con me
del pane per il viaggio/ e una brocca riempita alla fontana di casa./ Attesi la
ultima cena per bere quell’acqua/ e mangiare il tozzo di pane indurito.// Il
primo sorso e il primo boccone avevano il sapore/del latte materno e del corpo
di mio padre.”
Acqua e pane per tentare
di colmare la solitudine e il silenzio, in una vita mai completamente libera,
perché costantemente messa a dura prova da quell’intimo richiamo che non ha catene né mura di prigione, ma uno
spazio infinito dove si muovono ombre in un tempo che staziona nel profondo.
Da qui appare arduo
tentare di estirpare dall’anima pietà e sensi di colpa. E alla fine si finisce
col diventare personaggio e interprete nel grande “spettacolo dell’attore/ che recita la sua parte/ di fronte a se stesso/
unico spettatore/ l’irraggiungibile riflesso/ nel caduco specchio/ dell’immaginazione.”
Una coscienza lunare
caratterizza gran parte delle poesie di Farhad Ali Zolghadr, dove la luce
diventa pallida, sfuocata, il teatro perfetto, insomma, per una possibilità di
sovrapposizione e quindi di scambio fra due diverse dimensioni.
È un modo come un altro
per tentare di muoversi in due mondi rendendo evidenti, nel pallore lunare, le
similitudini piuttosto che le differenze. Per vivere, solamente per vivere, in
poesia, il grande mistero della Vita.
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