di
Bonifacio Vincenzi
“Questo giorno non tornerà più, e chi non lo mangia e non lo beve e non lo assapora e non lo odora, non se lo vedrà offerto una seconda volta per tutta l’eternità. Mai più il sole risplenderà come oggi, ha una costellazione nel cielo, una congiunzione con Giove, con Agosto ed Ersilia e con tutti noi che non tornerà più, mai più, neppure tra mille anni.”
Queste parole vengono
pronunciate da uno dei personaggi di quel bellissimo romanzo di Herman Hesse
che è L’ultima estate di Klingsor.
Sono parole di una profondità straordinaria, vive e necessarie, per aiutarci ad
entrare nella poesia e nell’anima di Lina Luraschi, in questa sua ultima
raccolta, Scucita voce (Gilgamesh
Edizioni).
“La lingua del
dolore/arrotola il cielo/scardina le stelle//Siamo chiavi senza porte//Di
colore ruggine sfibrata/veste l’attesa/È l’occhio che ode lo strazio!”
Siamo chiavi
senza porte,dunque, come a dire che nella cecità del dolore i giorni irripetibili, di
cui parla Hesse, continuano a disperdersi nel nulla senza essere vissuti.
Partendo dal presupposto che “una poesia è un silenzio
ribadito da parole, è formata di parole immolate al silenzio” (Zolla); partendo
da questo presupposto, questo viaggio di emozioni nella poesia di Lina
Luraschi, diventa “alba di nuovi suoni”, in un tempo disciolto dove il Nulla è
l’unico custode di quel Tutto disperso. E, alla fine, solo la Poesia osa violare(ed
ha il potere di farlo) questo Silenzio,
questo Nulla…
“Il pettine separa gli
angoli della memoria/mentre la fuga ruba il sonno/senza palpebre mi sento/di
cecità mi bendo/Ombra piegata su un lato/scolpita nel sale giro chiavi di porte/spalancate
sul nulla//NON PIÙ AURORE/IL GORGO NE BEVVE LO STAMPO!//Sarò altra lingua/pianto
che arrugginisce labbra/amaro frutto di rancida promessa/desiderio di spazio e
ladro azzoppato/bevo l’eterno dal mio polso”
Scriveva Evtušenko che “l’autobiografia del poeta sono i
suoi versi” e se è vero, ci aiuta, in
questo caso, a risalire alla vita di colei che scrive, al suo sentire, al suo
soffrire e al suo gioire. E se leggiamo: “sorveglio
il tempo/ che è nelle mani sbagliate”; se leggiamo questo, la relativa
impotenza di fronte alle mutazioni, non riguarda solo colei che scrive, ma
tutti noi.
La differenza tra un verseggiatore e un poeta è che
il verseggiatore parla a se stesso, il poeta a tutti noi. Da qui, appare chiaro
che Lina Luraschi appartiene alla
schiera dei Poeti che, al contrario dei verseggiatori, non è mai così affollata.
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