lunedì 12 ottobre 2015

Sulla tenera pelle






La poesia di Farhad Ali Zolghadr
di Bonifacio Vincenzi


“La magia e il tormento, la contingenza politica e la vocazione assolutizzante di un Medio Oriente sismico e incantato qui vengono condensati e trasmessi con la forza e la pregnanza di una comunicazione poetica direttamente distillata da un presupposto irrinunciabile di misticismo che non è necessariamente di timbro religioso: il misticismo, per Zolghadr, è inesauribile afflato epifanico da vivere umanamente e da infinitamente riconoscere nelle finalità stesse del vivere terreno, sia pure tra miserie e rivelazioni, drammi e amori estatici, desideri e soprassalti, fino a poter porgere al prossimo ( e il più vicino prossimo per il poeta è il lettore) la perenne purezza della sempre insaziata sete di scoperta.”

Queste parole di Rodolfo Tommasi, autore della postfazione al libro di Farhad Ali Zolghadr, Sulla tenera pelle (LietoColle), inquadrano perfettamente il senso profondo e arduo, nei versi del poeta iraniano.

Chiaramente, c’è dell’altro. Un senso di appartenenza forte, intimo che si esprime ripercorrendo le ragioni del cuore …

Ho abbandonato la terra dell’alba, nudo/ nella speranza di vestire un nuovo abito/ una volta giunto alla terra del tramonto.// Avevo portato con me del pane per il viaggio/ e una brocca riempita alla fontana di casa./ Attesi la ultima cena per bere quell’acqua/ e mangiare il tozzo di pane indurito.// Il primo sorso e il primo boccone avevano il sapore/del latte materno e del corpo di mio padre.”

Acqua e pane per tentare di colmare la solitudine e il silenzio, in una vita mai completamente libera, perché costantemente messa a dura prova da quell’intimo richiamo  che non ha catene né mura di prigione, ma uno spazio infinito dove si muovono ombre in un tempo che staziona nel profondo.

Da qui appare arduo tentare di estirpare dall’anima pietà e sensi di colpa. E alla fine si finisce col diventare personaggio e interprete nel grande “spettacolo dell’attore/ che recita la sua parte/ di fronte a se stesso/ unico spettatore/ l’irraggiungibile riflesso/ nel caduco specchio/ dell’immaginazione.”

Una coscienza lunare caratterizza gran parte delle poesie di Farhad Ali Zolghadr, dove la luce diventa pallida, sfuocata, il teatro perfetto, insomma, per una possibilità di sovrapposizione e quindi di scambio fra due diverse dimensioni.


È un modo come un altro per tentare di muoversi in due mondi rendendo evidenti, nel pallore lunare, le similitudini piuttosto che le differenze. Per vivere, solamente per vivere, in poesia, il grande mistero della Vita.

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