domenica 11 ottobre 2015

Scucita voce






L’inquietudine e il tempo nella poesia di Lina Luraschi
di Bonifacio Vincenzi


“Questo giorno non tornerà più, e chi non lo mangia e non lo beve e non lo assapora e non lo odora, non se lo vedrà offerto una seconda volta per tutta l’eternità. Mai più il sole risplenderà come oggi, ha una costellazione nel cielo, una congiunzione con Giove, con Agosto ed Ersilia e con tutti noi che non tornerà più, mai più, neppure tra mille anni.”

Queste parole vengono pronunciate da uno dei personaggi di quel bellissimo romanzo di Herman Hesse che è L’ultima estate di Klingsor. Sono parole di una profondità straordinaria, vive e necessarie, per aiutarci ad entrare nella poesia e nell’anima di Lina Luraschi, in questa sua ultima raccolta, Scucita voce (Gilgamesh Edizioni).

“La lingua del dolore/arrotola il cielo/scardina le stelle//Siamo chiavi senza porte//Di colore ruggine sfibrata/veste l’attesa/È l’occhio che ode lo strazio!

Siamo chiavi senza porte,dunque, come a dire che nella cecità del dolore i giorni irripetibili, di cui parla Hesse, continuano a disperdersi nel nulla senza essere vissuti.

Partendo dal presupposto che “una poesia è un silenzio ribadito da parole, è formata di parole immolate al silenzio” (Zolla); partendo da questo presupposto, questo viaggio di emozioni nella poesia di Lina Luraschi, diventa “alba di nuovi suoni”, in un tempo disciolto dove il Nulla è l’unico custode di quel Tutto disperso. E, alla fine, solo la Poesia osa violare(ed ha il potere di farlo)  questo Silenzio, questo Nulla…

Il pettine separa gli angoli della memoria/mentre la fuga ruba il sonno/senza palpebre mi sento/di cecità mi bendo/Ombra piegata su un lato/scolpita nel sale giro chiavi di porte/spalancate sul nulla//NON PIÙ AURORE/IL GORGO NE BEVVE LO STAMPO!//Sarò altra lingua/pianto che arrugginisce labbra/amaro frutto di rancida promessa/desiderio di spazio e ladro azzoppato/bevo l’eterno dal mio polso”

Scriveva Evtušenko che “l’autobiografia del poeta sono i suoi versi” e  se è vero, ci aiuta, in questo caso, a risalire alla vita di colei che scrive, al suo sentire, al suo soffrire e al suo gioire. E se leggiamo: “sorveglio il tempo/ che è nelle mani sbagliate”; se leggiamo questo, la relativa impotenza di fronte alle mutazioni, non riguarda solo colei che scrive, ma tutti noi.

La differenza tra un verseggiatore e un poeta è che il verseggiatore parla a se stesso, il poeta a tutti noi. Da qui, appare chiaro  che Lina Luraschi appartiene alla schiera dei Poeti che, al contrario dei verseggiatori, non è mai così affollata.



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