Visita
al museo dell’anima di Mia Lecomte
di
Bonifacio Vincenzi
Eccoci qui, Al
museo delle relazioni interrotte di Mia Lecomte : un libro di poesie
edito da LietoColle. E come tutti i buoni libri di poesia cerca di mostrare un
suo procedimento interno indipendente, dando al lettore la possibilità di
aderire a un significato anche diverso da quello eventualmente fissato
dall’autrice.
Miracolo della scrittura poetica. Il poeta non è mai
l’ultimo a parlare, ma il primo, e non c’è nota introduttiva che lo salvi, i
viaggiatori dello sguardo lasciano quasi sempre la strada maestra,
avventurandosi per sentieri intimi, procedendo per collisioni, sfioramenti,
contaminazioni, generando nuclei immaginativi che spesso si staccano dal
contesto e funzionano secondo le regole temporanee dettate dal susseguirsi
degli stati d’animo.
Ma la nota iniziale della Lecomte che cerca di
spingere il lettore verso la strada maestra del testo, in realtà, è solo un
pretesto per liberare da ogni vincolo il rapporto con il lettore. Scrive:
“I luoghi tra parentesi, indicati in relazione ai
testi, non sono quelli della scrittura – che avviene sempre altrove, in uno
spazio non delimitabile geograficamente – ma quelli dove si è acceso lo spunto,
sollecitato da un presunto accadere. Non riguardano alcun tipo di radicamento,
non sono traducibili in una cartografia. Sono solo piccole tracce lasciate per
segnalare il posarsi, sempre effimero, di un certo pensiero legato alla più
ordinaria quotidianità, il provvisorio succedersi dei cerchi sulla superficie
dell’acqua allo sfiorare del sasso.”
Da qui il posto preciso, il luogo fisso, i
perimetri certi delle geometrie del piano scompaiono, così le condizioni di stabilità
e determinazione del flusso creativo.
Ma, attenzione, bisogna sempre diffidare dei poeti,
hanno dentro una magica impostura, sono, in altri termini, per dirla con
Pessoa, degli irriducibili fingitori per il semplice fatto che il processo
stesso della creazione attraversa vari piani (mentale, emozionale, inconscio …), contaminandosi, e nella tessitura la magia del caso sollecita
sempre nuove visioni e soluzioni.
“Il fatto è – scriveva Foucault – che i confini di
un libro non sono mai netti né rigorosamente delimitati: al di là del titolo,
delle prime righe e del punto finale, al di là della sua configurazione interna
e della forma che lo rende autonomo, esso si trova preso in un sistema di
rimandi: il nodo di un reticolo.”
Mai districarsi da questo nodo, e, nel caso
specifico, accogliendo pienamente le indicazioni del titolo, prepariamoci,
dunque, a visitarlo questo museo multimediale dell’anima dove si proiettano in
continuazione immagini dei luoghi di una poetessa girovaga (Parigi,
Roma, Londra, Viareggio, Marsala, Müstair, Lugano, Palermo, Zurigo, Napoli,
Lucca, Milano …). Luoghi che,
probabilmente, raccontano altro allo sguardo, e dove la promessa della parola silenziosa, oscura
oscilla, in un suo autonomo disporsi, già viva altrove, in attesa del prodigio
della Poesia:
“Sono gli oggetti che ci hanno seguiti fin qua/
che ci appartengono senza averli mai scelti/ tu conti le medaglie impagliate/
tu annodi il vincastro di fumo/ tu lucidi il soldatino travestito da mago/ io sciolgo
nell’urna la caramella al veleno/ io mescolo i cubi del pallottoliere/ io vesto
la bambola tutta riccioli e ossa/ di questi ne abbiamo a migliaia/ non li
riconosciamo e ce li vorremmo scambiare/ ma tu sei così solo che ti meravigli
del caos/ io sono semplice e ripongo con cura ogni cosa” ( Indizi ( Paris,
Cité de Trevise)
Migliaia di indizi a sollecitare intuizioni
appesantite dal nerume quotidiano dove la vita di dentro e quella di fuori non
comunicano quasi mai. Ognuno di noi
recita l’impossibilità di ritrovarsi in un incanto senza pesi e dove il tempo
riposa. Alla fine siamo, paradossalmente, degli attori non protagonisti nel
grande teatro della nostra stessa vita:
“I morti ci festeggiano nel giorno dei morti/
Hanno scelto la stessa occasione che li riunisce porta il loro nome/
festeggiano mentre noi procediamo/ per tombe, omelie infioriamo il ricordo/ I
morti che sanno del giorno dei morti/ ricambiano con un eguale raduno/ si
attengono ai dettagli più semplici/ in un certo modo più rispettosi dei ruoli/
pietose le loro voci si perdono a volte/ ma a volte si fanno a tal punto
reciproche/ che ci vediamo costretti a sorprenderci/ noi ci vediamo costretti a
difenderci” (Rituali (Roma, Cimitero acattolici).
La poesia di Mia Lecomte non indietreggia mai verso la profondità. La morte, unica via
d’uscita al tempo, qui è vista come
esempio di una reciprocità capace ancora di sorprendere, ormai quasi totalmente
sconosciuta ai vivi.
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