domenica 10 aprile 2016

Note di passaggio






Poesia come ricerca del Sé autentico nell’opera di esordio di Cesarina Vegni
di Bonifacio Vincenzi


Da sempre ho paura./ Così lascio sbiancare il viso, accelerare il polso. Poi inspiro fin dentro/ la gran cassa del mio torace e punto lo sguardo sul quotidiano:/ Nord,Sud. L’ago inutile gira su se stesso.// E se mi lasciassi scivolare nella mia paura? Non opporre mai più il/ corpo al corpo Ecco... s’immerge, gira con la corrente, cambia il suo/ verso, si allunga e si raccoglie nello scorrere e poi riemerge dopo il/ frastuono delle rapide// sulla superficie ferma della luce.” (Autobiografia)

L’autobiografia in versi che apre quest’opera di esordio della milanese Cesarina Vegni, Note di passaggio, edita da LietoColle e inserita nella prestigiosa collana I giardini della Minerva, diretta da Maurizio Cucchi, ci deve in qualche modo far riflettere.

Dall’alto della sua competenza Maurizio Cucchi, nella prefazione, coglie molto bene il senso e l’anima di questo libro:

“Cesarina Vegni – scrive Cucchi - compie in questi testi una ricerca del sé più autentico, una ricerca condotta con discrezione, per un bisogno di onesta ricomposizione estetica di un quadro di vita dalle varie sfaccettature e sfumature. Si muove essenzialmente alla scoperta di un fondo di verità nel reale, oltre la scorza della routine, ed è una scoperta che le suggerisce il bisogno, poi, di testimoniarne di dar forma alle impressioni che l’hanno attraversata.”


Ma “il Sé, in quanto tale, - scriveva René Guénon – non è mai individualizzato: non può esserlo perché viene sempre considerato dotato degli attributi di eterno e di immutabile che sono necessari all’Essere puro, perciò non è suscettibile di alcuna particolarizzazione che lo renderebbe “altro da sé” … Di fronte al Sé tutti gli stati della manifestazione si equivalgono rigorosamente e possono quindi venir considerati allo stesso modo …”

In Cesarina Vegni il Sé autentico,  pur rimanendo sempre identico a se stesso, riesce a trasparire, nella profondità della sua ricerca, anche attraverso le molteplici trasformazioni del suo mentale. È sempre lì, immutabile, eterno mentre fuori tutto scorre …

La nota di passaggio è lo sguardo sul paesaggio/ che scorre, sul gesto umano accennato: un odore,/un’esitazione, una tonalità del giorno. La nostra vita transita veloce per luoghi che ci appaiono/ uguali./ Siamo in un mondo dove il linguaggio/ non suscita stupore. Ciascuno si rifà a una casta, riti/ uguali si ripetono. E ogni casta/ non pare diversa dalle altre. La curiosità/ è ancora una salvezza, la lente/ che ci lascia vedere al di là. E poi …/fissare una nota con la punta/ di un lapis , chissà.” (Note di passaggio)

Più si leggono le poesie di Cesarina Vegni più ci si rende conto come sia alto il suo grado di consapevolezza. Sicuramente merito di un sentire che per avere questa sensibilità per forza di cose ha dovuto pagare il suo prezzo con la sofferenza. Più alto è il grado di consapevolezza e più costante e significativo diventa il rapporto con la propria sofferenza.
D’altronde chi decide di ricercare il Sé più autentico subisce inesorabilmente una lacerazione. Il semplice “io sono” indifferenziato diventando “io sono me stesso” e cioè persona specifica nettamente differenziata mette in moto inesorabilmente il meccanismo della dualità.

“L’essere – direbbe Patrick Ravignant – si accanisce tentando di diventare qualcuno e viene sospinto di identificazione in identificazione, di definizione in definizione, di progetto in progetto, di insoddisfazione in insoddisfazione. In realtà è impossibile tentare di essere qualcuno senza inevitabilmente procedere per riferimenti, paragoni, mimetismi, e senza identificarsi con un certo numero di modelli esteriori prestabiliti e stereotipati. Quantificando come estraneo  ciò che corrisponde a questi modelli, ci costruiamo da soli la cella della nostra identificazione, e in essa ci muriamo vivi.”

Non c’è dubbio che nella cella della sua identificazione Cesarina Vegni c’è vissuta a lungo. D’altronde, non avrebbe potuto evitarlo, non c’è  mai consapevolezza senza il necessario travaglio.

Ora sa che nel momento in cui l’illusione della separazione e l’angoscia dell’io e dell’altro scompaiono, in quel preciso momento, la felicità assoluta diventa lo stato stesso della sua realtà. E questo lo si capisce molto bene dalla poesia “Violetta”, con cui chiudiamo questa nostra breve nota:

Mi metto prona. Non c’è più il mio corpo, sono solo occhi, lo/ sguardo di uno gnomo nel sottobosco della mia aiuola. Sono in un/ mondo appena sopra la radice delle piante, un paesaggio minuscolo/ nascosto fra foglie secche e sassi./ Sento le zolle fredde sotto il mento, il vento passa fra gli steli, secca/ le labbra. Rabbrividisco nel sottobosco casalingo mentre cerco un/ segno di inizio o forse di ritorno./ Nel crepitare senza sosta dell’ombra e della luce, sotto il suo cuore verde, mi appare una lucida violetta.”

LIETOCOLLE
http://www.lietocolle.com/shop/collane-i-giardini-della-minerva/vegni-cesarina-note-di-passaggio/


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