Paolo Mazzocchini:
“Finché la ferita
continua a sanguinare ci sarà Poesia”
di
Bonifacio Vincenzi
Perché un uomo scrive
poesie?
Me la sono posta spesso
questa domanda, me la continuo a porre. Nell’universo del sapere umano
pullulano infinite risposte. La più nota è sicuramente quella che dà ne L’attimo fuggente il prof. John
Keating, interpretato magnificamente dall’indimenticabile Robin Williams:
“Non leggiamo e scriviamo poesie – spiega il professor Keating ai
suoi studenti - perché è carino. Noi leggiamo
e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena
di passione. Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni,
necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo,
l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.”
Questa è una risposta
suggestiva alla domanda che ci siamo posti all’inizio,sicuramente da ricordare
con gli amici nelle occasioni speciali anche se io preferisco la risposta che
si evince dall’ultimo libro di poesie di Paolo Mazzocchini, Chiasmo
apparente, edito qualche settimana fa da LietoColle:
“Poesia purtroppo sarà morta/ quando finalmente per l’acume/ tenero
della matita/ la sepolta e viva tua ferita avrà/ smesso di sanguinare.” (Purtroppo,
finalmente).
Chi in arte ha espresso
molto bene il tema della ferita è sicuramente
il pittore ed incisore norvegese Edvard Munch. L’urlo è la massima espressione
dell’angoscia dell’uomo di fronte al mistero
della vita.
“Camminavo lungo la strada con
due amici –scrive Munch nei diari raccontando l’antefatto genetico del
celebre dipinto - quando il sole tramontò. Il cielo si
tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un
recinto: sul fiordo nerazzurro e sulla città
c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di
paura e sentivo che un grande urlo infinito
pervadeva la natura.”
Emmanuel Mounier scriveva che “occorre soffrire perché la
verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca nella carne.”
Ed è in questo particolare sentire che Paolo Mazzochini incontra la poesia:
“L’anima esiste e
come./Per le anse del vaso forte/ e lungo soffiando asciuga carne/ cervello ed
ossa, tenta l’uscita./ Affila le nocche delle mani, ama i pugnali/ delle
vertebre contro il liso/sudario del corpo. A fuoco/vi stampa lo scheletro/ a
sua effigie. Tossisce nell’aria/ la feccia secca invelenita/ dell’amore paglia/
sfiata dalle scuciture/ di un cuscino. Per i varchi/delle pupille assedia e
lacera/ la diafana superstite cortina/ delle lacrime. Così gusci/d’unghie morte
sfilacciano/ ragne consunte in punta/ di un calzino.” (Anima Senis).
Occorre lo squarcio perché l’anima esca e finché la ferita
continua a sanguinare ci sarà spazio, attraverso la sofferenza, per un sentire
che porti alla luce parte di quel mistero dell’anima che solo la Poesia riesce
a rappresentare nella sua straordinaria grandezza. E il fare poesia di
Mazzocchini, a mio avviso, cerca di esprimere tutto questo.
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