giovedì 31 marzo 2016

Chiasmo apparente





Paolo Mazzocchini:
“Finché la ferita continua a sanguinare ci sarà Poesia”
di Bonifacio Vincenzi

Perché un uomo scrive poesie?

Me la sono posta spesso questa domanda, me la continuo a porre. Nell’universo del sapere umano pullulano infinite risposte. La più nota è sicuramente quella che dà  ne L’attimo fuggente il prof. John Keating, interpretato magnificamente dall’indimenticabile Robin Williams:

Non leggiamo e scriviamo poesie – spiega il professor Keating ai suoi studenti - perché è carino. Noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana. E la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento. Ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita.”

Questa è una risposta suggestiva alla domanda che ci siamo posti all’inizio,sicuramente da ricordare con gli amici nelle occasioni speciali anche se io preferisco la risposta che si evince dall’ultimo libro di poesie di Paolo Mazzocchini, Chiasmo apparente, edito qualche settimana fa da LietoColle:

Poesia purtroppo sarà morta/ quando finalmente per l’acume/ tenero della matita/ la sepolta e viva tua ferita avrà/ smesso di sanguinare.” (Purtroppo, finalmente).

Chi in arte ha espresso molto bene il tema della ferita è sicuramente  il pittore ed incisore norvegese Edvard Munch.  L’urlo è la massima espressione dell’angoscia dell’uomo di fronte al mistero della vita.

Camminavo lungo la strada con due amici –scrive Munch nei diari raccontando l’antefatto genetico del celebre dipinto - quando il sole tramontò. Il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto: sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.

Emmanuel Mounier scriveva che “occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca nella carne.”

Ed è in questo particolare sentire che Paolo Mazzochini incontra la poesia:

L’anima esiste e come./Per le anse del vaso forte/ e lungo soffiando asciuga carne/ cervello ed ossa, tenta l’uscita./ Affila le nocche delle mani, ama i pugnali/ delle vertebre contro il liso/sudario del corpo. A fuoco/vi stampa lo scheletro/ a sua effigie. Tossisce nell’aria/ la feccia secca invelenita/ dell’amore paglia/ sfiata dalle scuciture/ di un cuscino. Per i varchi/delle pupille assedia e lacera/ la diafana superstite cortina/ delle lacrime. Così gusci/d’unghie morte sfilacciano/ ragne consunte in punta/ di un calzino.” (Anima Senis).


Occorre lo squarcio perché l’anima esca e finché la ferita continua a sanguinare ci sarà spazio, attraverso la sofferenza, per un sentire che porti alla luce parte di quel mistero dell’anima che solo la Poesia riesce a rappresentare nella sua straordinaria grandezza. E il fare poesia di Mazzocchini, a mio avviso, cerca di esprimere tutto questo.

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