LietoColle pubblica
i “Dialoghi con Iosif Brodskij” di Solomon Volkov
di
Bonifacio Vincenzi
Iosif
Aleksandrovič Brodskij era nato nel 1940 a San Pietroburgo,
in Russia. Poeta, saggista, drammaturgo. Una vita intensa caratterizzata dal
suo amore verso la poesia e innumerevoli difficoltà: la prigionia in Urss, la
fuga negli Stati Uniti e poi, nel 1987, nove anni prima della sua prematura
scomparsa, culminata con l’assegnazione del Premio Nobel.
Nel 1998 usciva per la
prima volta negli Stati Uniti Dialoghi con Iosif Brodskij di
Solomon Volkov. Quindici anni di conversazioni con il poeta russo tra il
pubblico e il privato dove Brodskij parla della sua infanzia in una Leningrado
devastata dalla guerra; parla della sua vita di poeta clandestino; parla dei poeti
che sentiva più vicino: Auden,
Achmatova, Frost, Cvetaeva…
Il libro di Volkov fu
tradotto in molte lingue ma ci sono voluti diciassette anni affinché il libro
venisse tradotto anche in Italia grazie ad un editore come LietoColle sempre più orientato verso la traduzione
della grande poesia internazionale e di tutto ciò che la riguarda.
Solomon Volkov così scrive
nella prefazione all’edizione inglese opportunamente tradotta e inserita dall’editore
anche in questa edizione italiana:
“Questo libro potrebbe essere una guida, una sorta di Baedeker, del territorio artistico ed
esistenziale di Brodskij, un territorio spesso strabiliante, mozzafiato, a
volte ―proibito. L‘idea è nata alla fine del 1978, quando, per
curiosità, ho iniziato
a frequentare le lezioni che lui teneva alla Columbia University di New York
davanti a un pubblico di giovani americani, perlopiù aspiranti poeti. All‘epoca
Brodskij, trentottenne e in esilio da più di sei anni, analizzava per gli studenti
i suoi poeti preferiti, riuscendo ad affascinarli e ispirarli con grande
naturalezza. Io stesso ne rimasi profondamente colpito.
Fu
così che lo avvicinai quasi subito con l‘idea di realizzare una raccolta di
conversazioni, una sorta di esplorazione della poesia e della cultura russa,
condotta attraverso la lente della sua esperienza. Suggerii che un libro simile
avrebbe avvicinato alla letteratura russa nuovi lettori, che avrebbe spalancato
loro una nuova comprensione di questo mondo letterario e, con mia grande
sorpresa, Brodskij acconsentì con entusiasmo. In
quel momento, non sapevo ancora che si stesse preparando al suo primo
intervento a cuore aperto. Aveva iniziato a rivolgersi alla morte abbastanza
presto, nei suoi versi, anche se è difficile stabilire se le sue preoccupazioni
in merito fossero alimentate dai suoi problemi cardiaci o dal suo immergersi
nella filosofia esistenziale. In ogni caso, seppur saltuariamente, ha sempre
affrontato la questione in modo diretto.”
Ma nel libro c’è molto di
più. 420 pagine dove, parafrasando Oscar Wilde, noi tutti diventiamo spettatori
del tempo e dell’esistenza di uno dei poeti più importanti della letteratura
russa e dove l’anima, l’anima segreta, alla fine, è la sola realtà e si
risveglia e rivive nelle nostre emozioni.
A seguire un brano tratto
dai dialoghi dove Brodskij parla della Achmatova e di altri poeti e scrittori
russi:
Volkov:
Di solito si parla
di lei come di un poeta appartenente alla cerchia di Anna Achmatova, che l‘ha
amata e sostenuta nei momenti difficili e a cui lei deve molto. Ma dalle nostre
conversazioni so che, sulla sua formazione poetica, Marina Cvetaeva ha influito
molto più dell‘Achmatova, e che lei ha conosciuto le poesie di Cvetaeva prima
di quelle di Achmatova. Si può dire dunque che è stata lei il ―poeta della sua
giovinezza, la ―stella cometa di quel periodo. Lei parla
ancora oggi della creatività di Cvetaeva con incredibile entusiasmo e con una
passione che, per un ammiratore dell‘Achmatova come me, sono molto insolite.
Molti dei suoi commenti
su Cvetaeva, almeno per me, suonano paradossali. Ad esempio, quando parla della
sua poesia, spesso la definisce calvinista. Perché?
Brodskij:
Prima di tutto per
l‘assoluta novità della sua sintassi, che le permette o meglio la costringe ad
andare fino al limite estremo del verso. Il calvinismo in fondo è una cosa
molto semplice, è una dura lotta dell‘uomo con se stesso, con la sua coscienza
e la sua consapevolezza. In questo senso, tra l‘altro, anche Dostoevskij è un
calvinista. Calvinista, in sostanza, è l‘uomo che esercita su se stesso una
sorta di Giudizio Universale, senz‘attendere l‘arrivo dell‘Onnipotente. In
questo senso, non esiste in Russia un altro poeta come lei.
Volkov:
E il Puškin della Rimembranza?
E con disgusto io rileggendo la mia vita
Mi sento tremare e maledico.
Tolstoj
ha sempre sottolineato l‘aspetto di cruda autocondanna di questi versi di
Puškin.
Brodskij:
Di solito si pensa
che in Puškin ci sia tutto, si è sempre pensato così per più di settant‘anni
dopo il duello. Dopo di che è arrivato il XX secolo… Ma ci sono molte cose che
mancano in Puškin e non solo per il cambiamento delle epoche, della storia. In
Puškin mancano molte cose, sia per una questione di temperamento, sia per un
fatto di sesso; le donne sono sempre le più spietate nelle loro pretese morali.
Dal loro punto di vista, da quello di Cvetaeva in par ticolare, Tolstoj
semplicemente non esiste. Come fonte di giudizio su Puškin, comunque. In questo
senso io sono addirittura più donna di Cvetaeva. Cosa poteva saperne il nostro
conte ―millelibri di autocondanna?
Volkov:
Ricorda Festino in tempo di peste? ―Si dà
un‘ebbrezza nella guerra, sul ciglio del pauroso abisso IV: in questi versi di Puškin non si
sente la furia delle forze elementari, l‘impeto della ribellione, come in
quelli di Cvetaeva?
Brodskij:
In Cvetaeva non c‘è
nessuna ribellione, Cvetaeva è una radicale impostazione del problema:
La voce della verità celeste
contro la verità terrestre.
In
entrambi i casi – si badi bene – dice ―verità. In Puškin questo non c‘è, soprattutto la
seconda verità. La prima è evidente, ed è stata completamente usurpata
dall‘ortodossia. La seconda, nel migliore dei casi, è soltanto una realtà, ma
non la verità.
Volkov:
Mi sorprende
sentirglielo dire. Ho sempre pensato che Puškin parlasse anche di questo.
Brodskij:
No, questo è un
argomento enorme e sarebbe meglio non toccarlo. Cvetaeva qui parla davvero del
Giudizio Universale, del ―giorno dell‘ira, che è veramente tale, non fosse altro per il
fatto che tutti gli
argomenti a favore della verità della terra sono già stati elencati, e in
questo elenco Cvetaeva arriva fino al limite estremo, anche se sembra si lasci
trasportare. Proprio come gli eroi di Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Non
dimentichiamo che Puškin è un ari-stocratico. E, se vogliamo, un inglese nel
suo rapporto con la realtà, un membro di un club inglese: ed è sempre discreto,
in lui non c‘è angoscia, non ce l‘ha. Non c‘è neanche in Cvetaeva, ma il suo
modo di fare domande à la Job,
alla maniera di Giobbe, ―o questo, o niente, genera quell‘intensità che in Puškin non si
trova. E i suoi puntini sopra la ―ë vanno oltre ogni connotazione musicale,
ogni epoca, ogni contesto storico, ogni esperienza personale e tempera-mento.
Sono lì perché lo
spazio sopra le ―e deve essere riempito.
Immagini in ordine di
apparizione: 1. Copertina del libro; 2. Solomon Volkov; 3. Brodskij da giovane;
Marina Cvetaeva.
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