Giulia Rusconi e la realtà in movimento
di
Bonifacio Vincenzi
Il mio primo incontro con la poesia di Giulia Rusconi è
abbastanza recente, in pratica risale a qualche settimana fa, quando sfogliando
il secondo numero del Quadernario di
Cucchi, (LietoColle, 2015), dando un’occhiata alla sua breve silloge, Distanze, pubblicata nell’Almanacco, fui
molto colpito da questa poesia:
“Ho scelto la
casa al mare/ perché c’è il mare/ ma non pensavo alla sabbia./ Mi entra dalle
fessure/ si deposita sul mobilio/ un immobile sudario/ e sulle rughe ogni
giorno/ più fitte e la notte/ entrano spifferi mi fanno/ invecchiare più in
fretta.
È senza ombra di dubbio
una poesia molto bella e mi è venuto
subito di pensare che qualcosa di simile lo scrittore svizzero Peter
Bichsel lo aveva scritto sulla neve:
“La
mattina c’era la neve per terra. Si sarebbe potuto essere contenti. Si
sarebbero potuto costruire degli igloo o dei pupazzi di neve, li si sarebbe
ammucchiati davanti alla casa come sentinelle. La neve è una consolazione, ecco
tutto quello che è – e tiene caldo, si dice, se uno ci si seppellisce. Ma si
infila nelle scarpe, blocca le macchine, fa deragliare i treni e isola i paesi
fuori mano.”
Sia Bichsel, in prosa, che
la Rusconi, in poesia, scrivono puntando sull’instabilità delle sfumature e
delle suggestioni della realtà, in cui si annidano già le proiezioni della
realtà futura e le relative variazioni.
Poi, quando ho deciso di
approfondire, leggendo la raccolta di poesia di Giulia Rusconi, Suite per una notte, pubblicata sempre
da LietoColle nella collana gialla
“pordenonelegge” la sensazione di trovarmi di fronte ad una poetessa autentica
si è, senza ombra di dubbio, rafforzata.
La realtà è la vera
protagonista della poesia di Giulia Rusconi. Non è, però, una realtà statica,
ciò che lei guarda. Lei mette in moto la sua immaginazione per distinguere il
reale dall’attuale, si muove sì nella dimensione del reale, cercando, però, di colmare lo spazio vuoto con una lucida e fredda
proiezione che ne ridimensiona l’incanto con la spietatezza del destino …
“Facevamo a palle di neve/ era mattina e c’era un sole/ giallissimo. Tu
vincevi la guerra –/ io non avevo mira, ero lenta – Mi domandavo/ come saresti
diventato/ per quanti anni ancora avresti avuto/ quei capelli infiniti e neri e
la bocca/ per quanto quella smorfia storta./ “Teppista – ti gridavo –
fuorilegge”!/ E ridevo e più ridevo più sentivo/ freddo – il freddo/ degli anni
già passati.”
Perché Giulia Rusconi è
così interessata alla realtà ancora lontana, ancora sconosciuta? “Forse perché
le realtà sconosciute – come ha scritto Heinrich Böll – sono sconosciute sono
in apparenza, e le realtà lontane sono lontane solo in apparenza. Non c’è nulla
che non ci riguardi: o rovesciando l’espressione al positivo, tutto in qualche
modo ci riguarda. La realtà è come una lettera che ci è indirizzata ma che noi
evitiamo di aprire, perché per noi aprirla è una fatica – o perché ci turba il
sospetto che il suo contenuto possa essere sgradevole, un sospetto che ci
appare quasi una certezza.”
Di sicuro la Rusconi non
ha paura di aprire questa lettera. Di più. Sapendo di non poter trattenere a
lungo ogni momento estasiante che lei vive, lo lascia andare iniziando, in
poesia, subito la proiezione e il processo di trasformazione. Vive, insomma,
ciò che è bello, ciò che è vivo, ciò che è intenso, lo vive totalmente libera
da una pur minima forma di dipendenza.
Nella sua poesia, alla fine,
c’è una mescolanza di semplicità, di trasparenza, di inalterabile lucidità, di
estrema spontaneità e presenza a se stessi davvero disarmante che finisce per
rappresentarla totalmente.
Immagini in ordine di
apparizione: 1. Copertina del libro, 2. Peter Bichsel, 3. Giulia Rusconi
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