Il disagio di
vivere nell’opera di Laure Gauthier
di
Bonifacio Vincenzi
“Con le parole della lingua lo scrittore forgia
parole nuove; non nuove parole, ma parole irrorate del suo sangue. Fonda una
seconda lingua, radicata, certo, con tutte le sue fibre, alla prima, ma che d’ora
in poi, appartenendogli – oh, paradosso – non appartiene più a nessuno. La
lingua dello scrittore vuole essere soltanto quella del libro; quella dell’istante
e della durata di una parola affrancata.”
Così scrive Edmond Jabès
ne Le Livre du Partage (Gallimard),
ribadendo il suo particolare sentire intorno alla questione, mai risolta, della scrittura e del libro che ha
caratterizzato gran parte della sua opera. E mi sembra questo il modo migliore
per cercare di aprire un passaggio nel senso di questo libricino di Laure
Gauthier, La cité dolente (Châtelet-
Voltaire, 2015). Un libricino di poche decine di pagine tanto piccolo quanto
potente il cui ricorso ad una forma estremamente personalizzata nasce,
probabilmente, dall’esigenza dell’autrice di ritagliarsi uno spazio di
peculiarità linguistica e concettuale forte che si allontani in modo deciso
dalla banalità quotidiana imperante del nostro tempo.
Con La cité dolente l’autrice si
è divertita a mischiare i generi letterari inventando un linguaggio musicale
carico dell’essenza tipica dell’arte. Poesia, prosa, musica, pittura contaminano
la sua scrittura e quello che viene fuori, alla fine, ha molto a che fare con
le vibrazioni di un’anima ( quella dell’autrice) che lotta e vive la sua
quotidianità con tutte le sue contraddizioni, le sue paure, nell’enorme mistero
di una vita che sempre più attraversiamo
da perfetti estranei …
“Je suis seul. Avec ce halo d’amour que je
n’ai pluse la force de maintenir. Me dirai-je alors. Au moment vert.
Aucune main ne
vient à mois.
Aucune main ne
vient à moi. Mais je me préfère difforme qu’uniforme. Mes doigts n’ont
pas la force de s’élever puis de se rejoindre en prière sur fond bleu,
mon petit doigt n’a pas
cette delicate inclinaison.
De ces mains que j’ai contemplées dans la ville imperial
avant d’aller manger une Kaisertorte. Le musée, les patisseries, la vie. Jadis,
non, je n’ai pas su donner à toi te mains plus potelées en héritage, pour
remplir les tiennes au soir, tu as alors tenu le stylo, rêche pour me le dire, trenchant.”
Per
quanto multiformi siano le attività di una mente creativa come quella di Laure
Gauthier, alla fine, sono sempre identificate con se stessa. E chi legge questo
libro legge di un disagio di vivere che, in questo particolare periodo storico, non è soltanto dell’autrice
ma di noi tutti.
Nessun commento:
Posta un commento