domenica 6 settembre 2015

La cité dolente






Il disagio di vivere nell’opera di Laure Gauthier
di Bonifacio Vincenzi

“Con  le parole della lingua lo scrittore forgia parole nuove; non nuove parole, ma parole irrorate del suo sangue. Fonda una seconda lingua, radicata, certo, con tutte le sue fibre, alla prima, ma che d’ora in poi, appartenendogli – oh, paradosso – non appartiene più a nessuno. La lingua dello scrittore vuole essere soltanto quella del libro; quella dell’istante e della durata di una parola affrancata.”

Così scrive Edmond Jabès ne Le Livre du Partage (Gallimard), ribadendo il suo particolare sentire intorno alla questione, mai risolta,  della scrittura e del libro che ha caratterizzato gran parte della sua opera. E mi sembra questo il modo migliore per cercare di aprire un passaggio nel senso di questo libricino di Laure Gauthier, La cité dolente (Châtelet- Voltaire, 2015). Un libricino di poche decine di pagine tanto piccolo quanto potente il cui ricorso ad una forma estremamente personalizzata nasce, probabilmente, dall’esigenza dell’autrice di ritagliarsi uno spazio di peculiarità linguistica e concettuale forte che si allontani in modo deciso dalla banalità quotidiana imperante del nostro tempo.

Con La cité dolente  l’autrice si è divertita a mischiare i generi letterari inventando un linguaggio musicale carico dell’essenza tipica dell’arte. Poesia, prosa, musica, pittura contaminano la sua scrittura e quello che viene fuori, alla fine, ha molto a che fare con le vibrazioni di un’anima ( quella dell’autrice) che lotta e vive la sua quotidianità con tutte le sue contraddizioni, le sue paure, nell’enorme mistero di una vita che sempre più  attraversiamo da perfetti estranei …



Je suis seul. Avec ce halo d’amour que je n’ai pluse la force de maintenir. Me dirai-je alors. Au moment vert.
Aucune main ne vient à mois.
Aucune main ne vient à moi. Mais je me préfère difforme qu’uniforme. Mes doigts n’ont pas la force de s’élever puis de se rejoindre en prière sur fond bleu,
mon petit doigt n’a pas
cette delicate inclinaison.
De ces mains que j’ai contemplées dans la ville imperial avant d’aller manger une Kaisertorte. Le musée, les patisseries, la vie. Jadis, non, je n’ai pas su donner à toi te mains plus potelées en héritage, pour remplir les tiennes au soir, tu as alors tenu le stylo, rêche pour me le dire, trenchant.”

Per quanto multiformi siano le attività di una mente creativa come quella di Laure Gauthier, alla fine, sono sempre identificate con se stessa. E chi legge questo libro legge di un  disagio di vivere che, in questo particolare periodo storico,  non è soltanto dell’autrice ma di noi tutti.



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