domenica 27 settembre 2015

Verticale






Progetto "Gialla":
l’anima musicale di Maddalena Lotter
di Bonifacio Vincenzi


Il ruolo del giovane poeta contemporaneo continua ad implicare una inutile  e dannosa frequentazione  di un limitato mondo, espressione quasi sempre di un singolo la cui nomea diventa, in un certo senso, garanzia della  stessa esistenza del poeta non ancora noto, in un panorama comunque limitato alla prospettiva di appartenenza.

È triste vedere soprattutto i giovani disattivare il proprio talento perché forti di un punto di arrivo ottenuto troppo presto e che, in realtà, è solo apparente. In Natura si sa che chi sceglie di appartenere ad un branco vive sì  protetto ma anche totalmente asservito al capobranco.

Così in Letteratura. La storia la scrivono i capibranco e la loro forza in larga parte è direttamente proporzionale al numero di seguaci che riescono ad avere e in minima parte al loro valore che spesso è comunque discutibile.



Bisognerebbe cominciare a pensare molto seriamente che la Letteratura ha poco a che fare con certe regole tribali e che uno scrittore e un poeta di valore per essere degno del suo talento deve avere come prima regola quella di abbandonare la foresta, consapevole che già  questa decisione presuppone un lungo e tormentato attraversamento in solitudine nel deserto dove, nella difficoltà stessa del percorso,  resistenza e  determinazione diventano fondamentali per guadagnarsi l’accesso al proprio talento.

Ma pare che sia regola comune, soprattutto in molti giovani, credere che l’esperienza si possa tranquillamente superare cercando, nell’ambiente letterario, un capobranco che ti accolga nel suo gruppo e, una volta all’interno, tentare di guadagnare ( in qualsiasi modo e a qualsiasi costo) posizioni per conquistare la sua fiducia.

C’è poco da risentirsi è così che funziona nell’ambiente letterario e chi voglia far credere il contrario mente sapendo di mentire. E questo succede perché ci sono pochissime occasioni sane che permettono a un giovane poeta o a un giovane scrittore di verificare, confrontandosi, il proprio valore.

Ecco perché ritengo il Progetto Gialla di LietoColle e Pordenonelegge,  un progetto sano, importante, edificato sui valori; un progetto da accogliere con entusiasmo, sperando che diventi un esempio da seguire nel prossimo futuro affinché nascano numerose iniziative simili in tutta la penisola. La direzione della collana è stata affidata ad Augusto Pivanti, una garanzia per serietà, sensibilità e competenza. Otto sono stati i giovani poeti pubblicati finora: Tommaso Di Dio, Clery Celeste, Giulio Viano, Giulia Rusconi, Sebastiano Gatto, Maddalena Lotter, Daniele Mencarelli, Greta Rosso.

In questa particolare occasione parlerò brevemente della raccolta di poesie di Maddalena Lotter, Verticale (LietoColle, 2015).


Maddalena Lotter è nata nel 1990 a Venezia, dove vive. È diplomata in flauto traverso presso il Conservatorio di Venezia e laureata in lettere antiche presso l’Università Ca’ Foscari. Nel 2014 ha vinto il primo premio al Premio Teglio poesia (sezione under 40) con una silloge inedita; alcuni suoi testi sono raccolti nella antologia Post ‘900, lirici e narrativi (Ladolfi, 2015).

Una sera si stava al sicuro in veranda/ e qualcuno iniziò a raccontare;/ nelle pause narrative e quando per poco/  si rimaneva in silenzio e la radura/ circostante non emetteva suono,/ i grilli stranamente zitti /e quando pareva inabitato/ anche l’ultimo filo d’erba,/era chiaro allora che niente è vuoto/ e a ben guardare nell’umido della notte/  si affollavano presenze, una sull’altra/ ascoltavano le storie e a noi/ quasi non era dato respirare.” (Presenze)

Si può partire tranquillamente da questa poesia per notare come il discorso poetico della Lotter sia, per certi aspetti, legato totalmente al fascino del qui e adesso, dove tutto si riesce a cogliere con un grado elevato di emozione e stupore.

E ancora:

Eravamo in tre/ a penzolare sull’amaca/ nell’età del nulla, il mondo in attesa di noi./ A volte un amico si perde altrove/ senza un perché./ Ora vivi avanti indietro in una stanza/ dove cammini bianca/ incerta con le tue dita d’elfo,/ ma ci sono ancora io a ricordarti/ magra e sedicenne nel frutteto/ quando cantavi Moon River/ raccogliendo i fichi.” (Moon River)

C’è magia nei suoi versi ancora così fortemente legati all’età del nulla dove il tutto poteva manifestarsi nello stupore dello sguardo e non era importante capire il senso: la vita era lì insieme a te, discreta, a immaginare un mondo in attesa di essere esplorato.

L’anima poetica della Lotter è un’anima musicale da vivere e ascoltare attraverso la carezza di uno sguardo. Non c’è niente da aggiungere. La lettura ha il pregio di risvegliare emozioni che amano quel tutto che emerge dall’istante, in un silenzio che parla  rivivendo ciò che riposa nel profondo.


giovedì 24 settembre 2015

Apnea






Victoria Surliuga:
la vita in apnea
di Bonifacio Vincenzi


Oscurità e languore. E un viversi in apnea rifuggendo la luce, perlustrando ombre, sentendo la vita nel cuore pulsante del suo mistero. E altro ancora, certo, per farci affermare tranquillamente che la poesia di Victoria Surliuga, in  Apnea, (disegnodiverso edizioni) è modellata su paradigmi onirici e pare non essere influenzata affatto dal bisogno di significati. 

L’incubazione creativa parte da un focolaio di lotte sotterranee inconsce e il viaggio poetico diventa una sorta di pellegrinaggio insidiato da invasioni di situazioni sfuggite alla rimozione che si ripresentano poeticamente modificati; diventa traccia di una narrazione impossibile che trova il suo senso nello smarrimento quasi estatico del lettore.

Da qui lo scomposto diventa forma di composizione, il fortuito riceve nessi determinanti …
spesso mi veniva a trovare/in sogno lo scrittore/ mi guardava da due bottoni scuri/ il corpo gli cadeva a pezzi/ a fatica/ lo ricomponeva// era sempre il momento giusto/ per vivere nella paura/ a morsicarsi annoiati/ davanti alla tv”.



Il procedere della scrittura poetica in Surliuga è influenzata da fattori che frantumano il senso senza mai dissolverlo, anzi, nel prendere atto di tutto questo, il lavoro che ne consegue, è di ripristino, in un mosaico di realtà poetica personalissima …

da un balcone a strapiombo/ su un fiume in piena/ la bufera batteva le persiane/ lui stava in piedi/ cercava di chiudere le ante/ “fa attenzione papà” gli diceva/ ma era tardi/ nel tempo di togliere una ciglia dall’altra/ si era dileguato/ in cumuli di/ polpa di  pom pelmo

C’è da aggiungere anche che l’inconscio non si preoccupa affatto dei  gusti, dell’intelletto o del modo di pensare; l’inconscio procede a modo suo, si diverte a giocare con i concetti, ama mescolare, modificare, distruggere, per cui, “rovescia l’acqua nella borsa”, guarda “farfalle in fila indiana” mentre con due rami di legno cerca di accedere/un falò sfregando anima e corpo …

E la Poesia, alla fine, per Victoria Surliuga, diventa davvero una buona alleata per dar voce a questo suo mondo oscuro e misterioso.



sabato 19 settembre 2015

Altra partenza





Ida Di Ianni:
un viaggio chiamato amore
di Bonifacio Vincenzi


Ida Di Ianni, in Altra partenza (Volturnia Edizioni), riesce a raccogliersi in se stessa, diventando colei che vede, colei che sente, colei che fiuta, colei che pensa, ricorda e immagina, e lo fa con il preciso intento di richiamare la Poesia.

E la poesia ancora una volta risponde lasciandosi attraversare come un  mare, come uno specchio. Magia della vita che non si basta, magia dell’istante che cerca di salvarsi prima di svanire. In rotta verso l’Eternità, sempre e comunque passeggera, direbbe Blanchot, sempre e comunque a richiamare quel mistero in cui tutto converge e da cui tutto promana.

Scrivere per sentire nella parola quel bisogno di amare e di essere amata, per un bisogno di pacificazione emozionale che possa, in qualche modo,  scollegarsi dal burrascoso, oscuro e sterminato territorio dell’inconscio …

E poi/in questa nostra contesa partita/ non vale il vincere o il perdere,/se voglio sia tu l’incendio/ed io l’istante/del tempo che è nostro./Amare – amarti./Vinco così la corrente disfida./Ecco che finalmente/sciolgo le mani sul tuo volto/e la tua pelle si fa candore di ciglia/ed il mio bene si stempera/di lacrime e rimmel,/quanto più sento ispessire il mio cuore./Tornarti fra i capelli/ed essere ancora poesia/nell’istante che sarà.


Un viaggio nella pura musicalità dell’essere, un viaggio che Ida Di Ianni chiama Amore, così vicino al sentire di Shelley: “Giriamo in vortice cantando attorno alla sfera che si addensa/ Finché dal caos alberi, fiere, nuvole/ Emergono pacificate dall’amore, non dalla paura.”

E' dal fruscio delle pagine che emergono i momenti vivi dei ricordi. Questo Ida Di Ianni lo sa bene. Ma i ricordi, in lei come in ognuno di noi, fluttuano incessantemente, oscillano, si mescolano e si deformano col passare del tempo.
Solo la poesia li salva, li accoglie, li rivitalizza attraverso la carezza di altri sguardi. Solo in poesia passato e futuro girano sul perno di un eterno presente.



giovedì 17 settembre 2015

Suite per una notte







Giulia Rusconi e la realtà in movimento
di Bonifacio Vincenzi

Il mio primo incontro con la poesia di Giulia Rusconi è abbastanza recente, in pratica risale a qualche settimana fa, quando sfogliando il secondo numero del Quadernario di Cucchi, (LietoColle, 2015), dando un’occhiata alla sua breve silloge, Distanze, pubblicata nell’Almanacco, fui molto colpito da questa poesia:

Ho scelto la casa al mare/ perché c’è il mare/ ma non pensavo alla sabbia./ Mi entra dalle fessure/ si deposita sul mobilio/ un immobile sudario/ e sulle rughe ogni giorno/ più fitte e la notte/ entrano spifferi mi fanno/ invecchiare più in fretta.

È senza ombra di dubbio una poesia molto bella e mi è venuto  subito di pensare che qualcosa di simile lo scrittore svizzero Peter Bichsel  lo aveva scritto sulla neve:

La mattina c’era la neve per terra. Si sarebbe potuto essere contenti. Si sarebbero potuto costruire degli igloo o dei pupazzi di neve, li si sarebbe ammucchiati davanti alla casa come sentinelle. La neve è una consolazione, ecco tutto quello che è – e tiene caldo, si dice, se uno ci si seppellisce. Ma si infila nelle scarpe, blocca le macchine, fa deragliare i treni e isola i paesi fuori mano.




Sia Bichsel, in prosa, che la Rusconi, in poesia, scrivono puntando sull’instabilità delle sfumature e delle suggestioni della realtà, in cui si annidano già le proiezioni della realtà futura e le relative variazioni.

Poi, quando ho deciso di approfondire, leggendo la raccolta di poesia di Giulia Rusconi, Suite per una notte, pubblicata sempre da LietoColle nella collana gialla “pordenonelegge” la sensazione di trovarmi di fronte ad una poetessa autentica si è, senza ombra di dubbio, rafforzata.

La realtà è la vera protagonista della poesia di Giulia Rusconi. Non è, però, una realtà statica, ciò che lei guarda. Lei mette in moto la sua immaginazione per distinguere il reale dall’attuale, si muove sì nella dimensione del reale, cercando, però,  di colmare lo spazio vuoto con una lucida e fredda proiezione che ne ridimensiona l’incanto con la spietatezza del destino …

Facevamo a palle di neve/ era mattina e c’era un sole/ giallissimo. Tu vincevi la guerra –/ io non avevo mira, ero lenta – Mi domandavo/ come saresti diventato/ per quanti anni ancora avresti avuto/ quei capelli infiniti e neri e la bocca/ per quanto quella smorfia storta./ “Teppista – ti gridavo – fuorilegge”!/ E ridevo e più ridevo più sentivo/ freddo – il freddo/ degli anni già passati.”




Perché Giulia Rusconi è così interessata alla realtà ancora lontana, ancora sconosciuta? “Forse perché le realtà sconosciute – come ha scritto Heinrich Böll – sono sconosciute sono in apparenza, e le realtà lontane sono lontane solo in apparenza. Non c’è nulla che non ci riguardi: o rovesciando l’espressione al positivo, tutto in qualche modo ci riguarda. La realtà è come una lettera che ci è indirizzata ma che noi evitiamo di aprire, perché per noi aprirla è una fatica – o perché ci turba il sospetto che il suo contenuto possa essere sgradevole, un sospetto che ci appare quasi una certezza.”

Di sicuro la Rusconi non ha paura di aprire questa lettera. Di più. Sapendo di non poter trattenere a lungo ogni momento estasiante che lei vive, lo lascia andare iniziando, in poesia, subito la proiezione e il processo di trasformazione. Vive, insomma, ciò che è bello, ciò che è vivo, ciò che è intenso, lo vive totalmente libera da una pur minima forma di dipendenza.

Nella sua poesia, alla fine, c’è una mescolanza di semplicità, di trasparenza, di inalterabile lucidità, di estrema spontaneità e presenza a se stessi davvero disarmante che finisce per rappresentarla totalmente.


Immagini in ordine di apparizione: 1. Copertina del libro, 2. Peter Bichsel, 3. Giulia Rusconi

venerdì 11 settembre 2015

Donne e società





Letizia Lanza:
donne e società ai tempi della Serenissima
di Bonifacio Vincenzi


“Quante vite, esperienze e profili di donne sono ancora nascoste nelle pieghe della storia? A questa domanda è difficile rispondere. Nonostante la straordinaria quantità di documenti emersi grazie al pregevole lavoro della storiografia a partire dagli anni Settanta, ancora molto resta nascosto, implicito, non detto, in particolare quando si guarda allo straordinario archivio del vissuto femminile. La collana “Donne nella storia” si propone di dare voce alle vite disperse, recuperando profili biografici misconosciuti, seguendo i labili segni rappresentati talvolta soltanto da sparsi e frammentari indizi, di raccogliere testimonianze preziose per recuperare le tracce che le donne hanno lasciato nel loro esistere nel mondo, e infine di individuarne i percorsi, faticosamente conquistati con lacrime e sangue, con straordinaria tenacia e consapevolezza. Ridare vita e colore a immagini sfocate, riportare al nitore le tinte sbiadite si pone come finalità prioritaria della collana, aperta a contributi di taglio  interdisciplinare, in un arco cronologico di ampio respiro che sottolinei continuità e fratture, spinte in avanti e pericolosi regressi, successi e delusioni, in linee con le più attuali tendenze di ricerca degli women’s studies.”

Alla luce di questa presentazione, il progetto di “Donne nella storia”, collana diretta da Antonella Cagnolati per Aracne editrice, appare fin troppo chiaro e significativo. Si tratta, insomma, di una collana prestigiosa con i suoi diciannove volumi finora pubblicati di stimati studiosi come Roberto Mendoza, Elena Musiani, Sabrina Garofalo, Franco Di Bella, tanto per voler  fare qualche nome.
Bisogna quindi riconoscere il merito ad una competenza che fa valere, scandendo la storia delle conoscenze umane, gli stadi naturali di una maturazione evolutiva di studi legata, come giustamente si dice nella presentazione della collana, alle vite, alle esperienze e ai profili di donne ancora nascoste nelle pieghe della storia.

E che dire, quindi, di questo libro, dato alle stampe nell’aprile del 2015 e inserito in questa collana con un titolo senza dubbio significativo, Donne e società – Genealogia di genere ai tempi della Serenissima”?



L’autrice è Letizia Lanza, veneziana, studiosa che affianca la critica testuale a indagini di filologia storica specie femminile.
L’indefinito accumulo delle conoscenze di questa autrice, i molteplici ambienti teorici in cui si è condotta e conclusa, almeno nella vita di questo testo, la relativa elaborazione, certo, rendono questa panoramica ,  ampia e aggiornata della presenza femminile nei lunghi secoli della Serenissima Repubblica, davvero interessante.

L’antico cuore di Venezia, dunque, con tutto il suo fascino e la sua storia, attraversata da donne di ogni età, estrazione, tipologia, a partire dalle lontane origini fino agli ultimi bagliori del Settecento.
Un lavoro straordinario fatto da una studiosa appassionata e infaticabile che, in questo particolare libro,  ha il merito di farci conoscere un’affollata galleria di ritratti femminili straordinari della Serenissima Repubblica come Cristiana di Tommaso da Pizzano, Veronica Franco, Sara Copio in Sullam e tante altre.


Su questo tema di fondo il libro  articola numerose e talora affascinanti variazioni. Ne risulta, alla fine, un quadro ampio e stimolante, che riesce a coniugare concretezza storica di dettagli e apertura metodologica di prospettive.

Da qui, la motivazione del Premio Speciale che la Giuria del Premio Letterario di Calabria e Basilicata 2015 ha inteso  assegnare a questo libro, mi sembra davvero opportuna e significativa:

“… perché  il valore della  ricerca letteraria , la vasta, approfondita  e documentata  conoscenza  dell’argomento  rendono l’opera un grande tributo alla nostra cultura e  un esempio di metodologia di studio di altissimo livello.”



domenica 6 settembre 2015

La cité dolente






Il disagio di vivere nell’opera di Laure Gauthier
di Bonifacio Vincenzi

“Con  le parole della lingua lo scrittore forgia parole nuove; non nuove parole, ma parole irrorate del suo sangue. Fonda una seconda lingua, radicata, certo, con tutte le sue fibre, alla prima, ma che d’ora in poi, appartenendogli – oh, paradosso – non appartiene più a nessuno. La lingua dello scrittore vuole essere soltanto quella del libro; quella dell’istante e della durata di una parola affrancata.”

Così scrive Edmond Jabès ne Le Livre du Partage (Gallimard), ribadendo il suo particolare sentire intorno alla questione, mai risolta,  della scrittura e del libro che ha caratterizzato gran parte della sua opera. E mi sembra questo il modo migliore per cercare di aprire un passaggio nel senso di questo libricino di Laure Gauthier, La cité dolente (Châtelet- Voltaire, 2015). Un libricino di poche decine di pagine tanto piccolo quanto potente il cui ricorso ad una forma estremamente personalizzata nasce, probabilmente, dall’esigenza dell’autrice di ritagliarsi uno spazio di peculiarità linguistica e concettuale forte che si allontani in modo deciso dalla banalità quotidiana imperante del nostro tempo.

Con La cité dolente  l’autrice si è divertita a mischiare i generi letterari inventando un linguaggio musicale carico dell’essenza tipica dell’arte. Poesia, prosa, musica, pittura contaminano la sua scrittura e quello che viene fuori, alla fine, ha molto a che fare con le vibrazioni di un’anima ( quella dell’autrice) che lotta e vive la sua quotidianità con tutte le sue contraddizioni, le sue paure, nell’enorme mistero di una vita che sempre più  attraversiamo da perfetti estranei …



Je suis seul. Avec ce halo d’amour que je n’ai pluse la force de maintenir. Me dirai-je alors. Au moment vert.
Aucune main ne vient à mois.
Aucune main ne vient à moi. Mais je me préfère difforme qu’uniforme. Mes doigts n’ont pas la force de s’élever puis de se rejoindre en prière sur fond bleu,
mon petit doigt n’a pas
cette delicate inclinaison.
De ces mains que j’ai contemplées dans la ville imperial avant d’aller manger une Kaisertorte. Le musée, les patisseries, la vie. Jadis, non, je n’ai pas su donner à toi te mains plus potelées en héritage, pour remplir les tiennes au soir, tu as alors tenu le stylo, rêche pour me le dire, trenchant.”

Per quanto multiformi siano le attività di una mente creativa come quella di Laure Gauthier, alla fine, sono sempre identificate con se stessa. E chi legge questo libro legge di un  disagio di vivere che, in questo particolare periodo storico,  non è soltanto dell’autrice ma di noi tutti.