domenica 28 febbraio 2016

Davanti alla tenda





La vita di una donna nella poesia di Barbarah Guglielmana
di Bonifacio Vincenzi

Non ci vuole molto a leggere le poesie di Barbarah Guglielmana. Basta un minimo di disposizione d’animo, un raccoglimento strappato all’ingordigia del mondo e tutto è davanti allo sguardo. Eccola la vita di una donna, è lì, davanti a te, si apre ma non tanto; uno spiraglio, insomma, dove si ha la possibilità di vedere molte cose. Di vederle, certo.  Di capirle, un po’ meno.

Uomini e donne. Due mondi diversi. Diversi in tutto. Ma si fa finta di non saperlo. Il limite, nei rapporti di coppia, è proprio questo. Ognuno cerca di dimostrare  che il proprio mondo è quello giusto. 

Nessuno, sia uomini che donne, riesce ad amare le cose dell’altro che non condivide.  Forse, solo le donne ci riescono. Ma non è mai un darsi senza condizione. Ma tutto parte dall’intima consapevolezza che ogni donna ha di poter cambiare, prima o poi, il proprio uomo.

Jimenéz: “Desidero – ti dissi –essere/ in tutto come te, mio amore./ Raccontami tu la verità/ che mi spezzi il cuore!

E si va avanti  in questo viaggio senza ritorno. Il ritmo del fluire. Si cammina, si ama, si odia. La chiamiamo la nostra vita, ma è nostra soltanto qualche rara volta. Il resto appartiene a quel mistero che nessuno ha mai svelato e, forse, mai svelerà.


No, non ci vuole molto a leggere le poesie di Barbarah Guglielmana. Davanti alla tenda  si intitola la sua ultima raccolta edita da LietoColle …

Non tutte le piante sfioriscono in primavera/ E non tutte le musiche mi ispirano sesso e morte/ Non tutte le pozzanghere mi danno vertigini,/ E se questa sera tu passerai da casa mia/ Il letto sarà già disfatto./ Rimango sul ponteggio della mia esistenza, / Sostenuta da un’impalcatura di vecchia muratura./ E quando i tuoi baci te li tieni per te/ Io godo della natura che mi sfiora l’anima profonda/ E senza stagione.

Uomini e donne, ognuno a recitare la propria parte. Incomunicabilità, mai voluta, mai desiderata. Naturale, ecco la parola giusta, considerando i mondi diversi di cui parlavamo prima.

Ma è poesia, non dimentichiamolo. Ed è la poesia a dire sempre la verità. A non mentire mai. Ma viene quando siamo soli e a placare, quasi sempre, un’ anima assetata.


giovedì 25 febbraio 2016

La resistenza dell'impero





Michelangelo Zizzi e il suo straordinario mondo di parole e di immagini
di Bonifacio Vincenzi

“Chi avverte estaticamente l’unità di se stesso e dell’essere – scrive Elémire Zolla -, considera illusoria la molteplicità degli eventi, perciò, quando si presentano, non fa scattare la diade automatica bene/male, amico/nemico. Si lascia,  attraversare come un mare, uno specchio.”

Questa mi è sembrata una bella finestra da cui affacciarsi per guardare questo straordinario mondo di parole e di immagini che Michelangelo Zizzi ha voluto regalare ai suoi lettori in questa sua ultima esperienza creativa La resistenza dell’impero (LietoColle, 2016) che ha accolto ancora una volta l’anima della Poesia.

Per il transito in questo poema che lo stesso Zizzi definisce anagogico e allegorico è necessario vincere quella resistenza che “venne prima dell’ego e della costituzione cerimoniale,/ prima della psiche franta nel gheriglio del cerebro/ e prima di ogni diritto ad essere,/ di ogni dipendenza e propriocezione.

Ma è inutile provarci. Ad ogni tentativo la resistenza si rafforza dentro di noi dove ha l’unica possibilità di esistere. È un libro strano questo di Zizzi.  Forse il suo è un tentativo di smascherare le carte false del mondo. Forse è un modo per farsi Specchio da cui osservare i treni di figure e di pensieri che scorrono profondamente in lui come ombre cinesi.

Miracolo della Poesia. Non canta mai ciò che il poeta è ma ciò che riusciamo ad essere insieme a lui nello straordinario incontro in un paesaggio interiore comune.

Ancora Zolla: “il poeta segue i fili dei destini fino alle dita dei burattinai.”

Ma chi sono i burattinai? Perché, non vi è ombra di dubbio, i burattinai ci sono e forti della loro invisibilità creano conflitto che è il Fuoco su cui si regge il Mondo.

Alla fine Zizzi è colui che riesce “a stornare quelle immagini/ che l’infido pungolo del disfacimento/ tormenta.”

Lo ammette. Non ci riesce spesso, ma qualche rara volta. E quando ci riesce arriva sempre la Poesia.


venerdì 19 febbraio 2016

Golena






Elia Malagò, una delle voci femminili più autentiche della poesia italiana
di Bonifacio Vincenzi

Può darsi che mi sbagli ( e me lo auguro davvero) ma c’è  un protagonista del mondo poetico del secondo Novecento che non viene ricordato abbastanza per quello che è stato il suo impegno, la sua passione e il suo importante contributo dato, soprattutto come editore, alla poesia italiana, e questo protagonista è sicuramente Giampaolo Piccari e la sua Forum/Quinta Generazione.

Paradossalmente – come lo stesso Piccari amava sottolineare – la casa editrice Forum/Quinta generazione era nata per fornire libri alla rivista mensile di poesia “Quinta generazione”; due per ogni numero, presentati dagli addetti ai lavori nell’apposita rubrica “I Volumi”. La formula si era rivelata felice e aveva diversificato Quinta Generazione da ogni altra rivista letteraria italiana.

Dopo la scomparsa di Piccari, col passare degli anni, l’importanza della Forum/Quinta generazione non è stata, a mio avviso, sottolineata sufficientemente. Eppure la Forum fu luogo di incontro per molti poeti che con gli anni sarebbero diventati importanti. Pubblicarono con Piccari, tanto per fare alcuni nomi, Paolo Ruffilli, Ennio Cavalli,  Marta Bener, Stefano Lanuzza, Carlo Rao, Alessandro Bianco, Franco Cajani, Silvio Raffo, Renzo Nanni, Albarosa Sisca, Davide Rondoni. Ma l’elenco è ancor più lungo e significativo.



Sicuramente una presenza molto attiva nel progetto di Giampaolo Piccari è stata Elia Malagò. Ha fatto parte del gruppo dei Collaboratori di Quinta generazione. Il suo Saranno gli altri a testimoniare ( un volumetto di 48 pagine, non accluso, però, alla rivista) ha aperto nel 1969 la collana “Quinta generazione/Poesia” diretta dallo stesso Piccari. In questa stessa collana sarebbero usciti poi nel 1970 I discorsi di sempre; Di un’impossibile maturità nel 1975; Buffa sonagliera nel 1978. Pita pitela, forse una delle raccolte di poesia più belle di Elia Malagò, era invece uscita nel 1982 nella bellissima collana “Quinta generazione/poesia80”. Non solo. La Malagò ha avuto il privilegio di aprire nel 1968 anche le pubblicazioni nella collana “Quinta generazione/ racconti” con i suoi Dieci racconti. E nel 1973 nella collana “Quinta generazione/romanzo” era stato inserito il suo romanzo La casa grande.


LietoColle, per certi aspetti, ricorda un po’ “Forum/Quinta generazione”, soprattutto per la competenza e il rigore nelle scelte dei poeti da pubblicare. E Michelangelo Camelliti è forse l’unico editore di poesia italiano che è riuscito a coprire il vuoto lasciato dopo la scomparsa di Giampaolo Piccari.

E fa sicuramente piacere constatare che l’ultima raccolta di poesia di Elia Malagò, Golena, sia stata proprio pubblicata da LietoColle.

“ La Golena è quella striscia di terra tra un arginello di  contenimento di Po – che è sempre letto suo – e l’argine maestro, quello che difende i nostri paesi della bassa -  bassa dall’acqua che è più alta delle case. Paesi benedettini e matildici fino alle bocche del Polesine che in inizia all’altezza di casa mia, “ di là dalle acque”. Lì si coltivano filari di pioppi e c’erano case per lo più bovarili. Dopo l’alluvione del ’51, che è il primo ricordo della mia infanzia, dalla golena siamo usciti, riconoscendola terra di Po e le case sono diventate negli anni casematte. Che hanno accolto le nostre incursioni di bambini e adolescenti. Ecco tutto quello che c’è da sapere del luogo. Le parole sono del 2012 e sono il diario di un dolore; le interrompe il terremoto del 20 maggio.”
Così spiega ai suoi lettori in una nota il suo nuovo incontro con la poesia.


“Se la Malagò – scriveva qualche decennio fa Gino Baratta – sembra cedere al non viaggio, al non partire, pervicacemente insiste invece su una sostanza di voce, pur se di volta in volta contrastata, messa in dubbio. E questo essere la voce interamente contrastata costituisce il carattere spesso aspro, del registro linguistico della Malagò (…) Il linguaggio è di volta in volta scandagliato, spezzato, come smembrato nelle sue fibre, esposto nel suo costituirsi (…).”

La stessa sostanza di voce contrastata, messa in dubbio la incontriamo anche in Golena

Ci sono dolori che ti impiccano e una parola/ che non sale// - il diaframma sotto una pietra che solo aspetti/si sfilino le corde per sentirla cadere e invece/ resta in un’attesa che si tiene e/ tiene te e i tuoi annegamenti sotto il pelo dell’acqua/ tra girini e sabbia densa/ abbassa la soglia e l’aria che hai te la fai bastare -// contenere il terremoto della pancia/ il sobbalzo della testa e il dolore a raggiera/ che allarga lobi e cerchi ma ancora può farcela/ in una trincea condivisa.// Sono i richiami che ti fanno tornare/ perché non potresti stare altrove// le talee da orto a orto e/ tra parole disseminate a fior di labbra/ qualcuna che vie da lontano/ a scuotere i tigli dietro il comune.” (da orto a orto).

Sono tante le parole che vengono da lontano in questa raccolta e portano l’anima di un tempo che solo la Poesia sa riconoscere.

Immagini in ordine di apparizione: 1. Copertina del libro; 2. Elia Malagò; 3. Michelangelo Camelliti ( al centro); 4. Gino Baratta


Kamen






La rivista di poesia e filosofia "Kamen" entra nel suo venticinquesimo anno di vita
di Bonifacio Vincenzi


Col quarantanovesimo numero ( n. 48 gennaio 2016) la rivista Kamen, diretta da Amedeo Anelli, entra nel suo venticinquesimo anno di vita e lo fa cambiando editore. Dallo storico Vicolo del Pavone di Piacenza, alla Libreria Ticinum Editore di Voghera.

In questo numero sono presenti le sezioni di Letteratura e Giornalismo, Poesia e Materiali.


La sezione Letteratura e Giornalismo, terza sezione dedicata all'argomento, si occupa di uno dei padri del giornalismo del secondo ottocento, Franco Giarelli. Di Giarelli si riproduce una selezione di pagine di Vent'anni di Giornalismo (1868- 1888) accompagnate dalla prefazione allo stesso volume di Giovanni Cairo e una Nota a Francesco Giarelli di Daniela Marcheschi.

La sezione di Materiali, a cura di Elisabetta Stacchiotti Binni, è dedicata alla scrittrice statunitense Ursula K Le Guin. Contiene bilingue inglese e italiano il Discorso di ringraziamento in occasione del conferimento del National Book Awards, inoltre un saggio di Darko Suvin a lei dedicato, anch'esso in inglese e in italiano, Una nota su Ursula K. Le Guin sulla Dichiarazione di indipendenza delle Arti dal Capitalismo.

La sezione Poesia è dedica alla poetessa siciliana Margherita Rimi. Ad un'ampia selezione di poesie, talune inedite, fa seguito la Nota di presentazione dello stesso Amedeo Anelli "La poesia mette le cose a posto", e la Bibliografia.


Una delle poesie di Margherita Rimi inserite nella rivista

Le parole

Vengono di notte
non mi fanno dormire
mi girano intorno

Ognuna vuole che parli solo
per sé

Una si fa chiamare
un'altra chiede il suo nome
una si fa malattia

Ci vuole una vita lunga
per parlare di tutte

Può essere questa una poesia?

Immagini inserite in ordine di apparizione: 1. Copertina del n. 48 della rivita Kamen; Amedeo Anelli; Margherita Rimi.

mercoledì 27 gennaio 2016

Cantami cose di terra






Alessia Fava:
poesie di una madre
di Bonifacio Vincenzi


s’insinua dorato un canto d’arance al mattino/ pieno di te, intrecciato di erba alla gola su pelle/ di vetro che cade alle mani e si schiude// la fronte è sommersa da gigli in scintille/ di fede, torrenti infuocati pulsanti alla foce

Una festa per lo sguardo. Molto di più. Una dichiarazione d’amore immenso al proprio figlio. Amore di bambina, di donna, di madre. Amore che riempie la voce, gli occhi, i pensieri. Amore che contagia la vita.

Lei, la madre, è Alessia Fava. Ma è anche poeta  che ingurgita “strascichi di versi” che si fanno libro, questo libro: Cantami cose di terra (LietoColle).

“La poesia – scrive Silvio Raffo nella prefazione -  rivitalizza, rigenera anche cantando la lacerazione della nascita, l’irraggiungibilità dell’altro divenuto creatura autonoma, ‘il guizzo verticale della sofferenza’.”


La grande capacità di Alessia Fava è quella di riuscire a comunicare l’emozione, di mostrare aperto e instancabile il senso della gioia nell’esperienza del suo sentirsi ed essere madre; di saperlo fare con parole poeticamente vive:

restami nel fiato d’eterno in trame d’azzurro col cuore/ di ieri cucito ai miei giorni e cadimi ancora più dentro// sei dal volto alle dita il senso rotondo, il viaggio/ l’alba di ventre bruciante, il vascello perso alle braccia/ di desiderio tremante, eretto in questa mia stanza d’ambra


Il grande privilegio di chi legge, invece, è tutto da scoprire nel risveglio di quella parte di sé  che, per dirla con Pessoa,  ci fa guardare, nei momenti di gioia, la vita come una sete soddisfatta.

martedì 26 gennaio 2016

I poeti e la crisi






Giovanni Dino:
i poeti al tempo della crisi
di Bonifacio Vincenzi


 Nel mese di settembre del 2015 è uscito, edito dalla Fondazione Thule Cultura, a cura di Giovanni Dino, il volume antologico di poesia I poeti e la crisi.

Ma perché Giovanni Dino ha deciso di raccogliere in un volume di  trecento pagine circa duecento poesie che parlano della crisi che ha toccato il nostro Paese? Qual è il significato che ha voluto dare a questa interessante operazione editoriale?

Bene, nella lunga nota del curatore che apre il libro, Giovanni Dino chiarisce molto bene quale sono state le motivazioni che lo hanno spinto a iniziare e portare a termine questo progetto, probabilmente, unico nel suo genere.

“Con  I poeti e la crisi – scrive Dino – abbiamo voluto proporre un’operazione culturale, rivolti ad autori desti e coraggiosi, disposti ad un impegno creativo, ma anche – e perché no? – foriero di stimolanti idee e consigli, di qualche utile suggerimento, che in ogni caso aiutasse a riflettere, a prendere coscienza, in modo pacifico e democratico, di un grave problema del Paese. La poesia ha sempre qualche risorsa impensabile. Dunque non un coro di lamentazioni, non uno sfogatoio personale e collettivo, non uno strumento di guerra e di vendetta, né un’occasione per puntare l’indice verso qualcuno o qualcosa. Nemmeno un’occasione per una poesia incipriata per ritrovarsi dentro a un libro come in un club, per leggersi e farsi leggere. Abbiamo voluto che fosse un  documento – testimonianza, un modo di scendere in campo. E anche una risposta a chi, fra venti o trent’anni, si trovasse a chiedersi cosa avessero fatto i poeti di oggi in un’Italia investita da un uragano, prostrata da un impoverimento di massa.”


Non è possibile, certamente, parlare delle poesie dei tanti poeti inseriti nel libro, ma ci sembra opportuno sceglierne, simbolicamente, una della grande poetessa italiana Alda Merini. Giovanni Dino della Merini  ha pubblicato due poesie. E di queste due, noi abbiamo molto apprezzato I poeti lavorano di notte che c’è sembrata, visto il tema trattato, molto significativa: “I poeti lavorano di notte/ quando il tempo non urge su di loro,/ quando tace il rumore della folla/ e termina il linciaggio delle ore.// I poeti lavorano nel buio/ come falchi notturni od usignoli/ dal dolcissimo canto/ e temono di offendere Iddio.// Ma i poeti, nel loro silenzio/ fanno ben più rumore/ di una dorata cupola di stelle.


Non è possibile, in questa breve nota, citare i tanti autori importanti che Dino ha inserito e che con le loro poesie hanno reso pregevole questo libro. Poeti, tanto per fare qualche nome, come Amedeo Anelli, Mariella Bettarini, Donatella Bisutti, Anna Maria Curci, Guido Oldani, Alessandro Ramberti, Nazario Pardini, Daniele Giancane,(che nel panorama della poesia italiana hanno peso e valore), nel dare la loro adesione a questa operazione culturale  , hanno riconosciuto l’ammirevole sforzo di Giovanni Dino che con questo agile volume, al di là di ogni considerazione di contenuti o, come si suol dire, di messaggi, dimostra come la parola, in questo caso, abbia un peso sì di assoluta essenzialità poetica ma come rappresenti anche una sorta di mosaico significativo della nostra quotidianità al tempo della crisi, e proprio perché mosaico, apprezzabile nel suo rivelarsi, alla fine, in una visione di perfetta unità.

venerdì 22 gennaio 2016

L'assedio di Famagosta







Guglielmo Aprile:
una vita da assediato
di Bonifacio Vincenzi

Edvard Munch  nei suoi diari scrive: “Conoscete il mio quadro l’Urlo? Ero al limite delle mie forze – completamente esausto. La natura urlava attraverso le mie vene – stavo precipitando nell’abisso (…)Conoscete i miei dipinti,  in loro potete vedere ciò che ho vissuto.” A Munch l’arte ha salvato la vita nel senso che tutto il carico di dolore, di angoscia non gli è esploso completamente in testa solo perché ha trovato uno sbocco in una liberatoria trasposizione in immagini sulla tela.

Ora, leggendo questo ultimo libro di Guglielmo Aprile, L’assedio di Famagosta (LietoColle), parafrasando Munch, a proposito di Aprile possiamo immaginare che ci dica: Conoscete le mie poesie,  leggendole potete sentire ciò che ho vissuto.

Sì, perché la sensazione è la stessa che con Munch: il suo vissuto inconscio pesca dall’antro del suo dolore interiore una quantità impressionante di immagini e sensazioni inconsciamente modificate. Tutta questa massa è in continuo movimento e la spinta verso la coscienza è forte e pericolosa perché  ogni passaggio nella mente equivale ad una vero e proprio attacco alieno.

In questo senso l’Arte, la Poesia davvero salvano la vita e il sentirsi come si sente, a mio avviso, Aprile, un assediato di Famagosta, non è affatto una condizione negativa ma evidenzia nettamente una forza e un coraggio straordinario.

Questo perché la difesa di Famagosta fu una delle pagine più drammatiche e gloriose della storia veneziana.  Nel 1571 il prefetto civile Marcantonio Bagadin e il capitano di ventura Astorre Baglioni con un esercito veneziano di 500 soldati affrontarono l’esercito ottomano di duecentomila soldati. Alla fine la fortezza fu espugnata ma all’esercito ottomano l’assedio di Famagosta costò cinquantaduemila morti.


Aprile, dicevamo, si sente come uno dei 500 soldati veneziani. Sa di non poter vincere la battaglia contro il suo malessere ma è deciso a vendere cara la pelle. Ha un’arma bianca letale: la Poesia.
Il re spodestato, rinchiuso/nella torre più alta, da solo,/sentitelo come delira!//Non ha con chi parlare, e sono mesi/che ha rinunciato al sonno; e quante volte/l’uccello bianco della follia, con la sua risata atroce,/gli è balenato dinanzi! E lo tenta/a strangolare mentre dormono i suoi parenti,/a versare liquido verde nei pozzi,/a bruciare vivi senza giustificazione/gli ambasciatori giunti a informarsi della sua salute;/a tenerlo a bada è solo/l’efficiente turnover dei carcerieri.//Lo hanno dovuto rinchiudere, si dice,/perché fuori controllo, e il suo spettro/viene ancora evocato per far paura ai bambini,/anche se in tanti/non l’hanno mai visto in faccia, e pensano persino/che sia il frutto di una superstizione.//Il re, come delira/dall’alto della sua torre! Fatelo tacere,/vi prego, fatelo tacere/o l’intero regno cadrà nello sconquasso,/diverrà ingovernabile.”

In questa poesia, come in tante altre presenti nella raccolta, è trasfigurato magnificamente lo stato d’animo tipico  di chi vive una vita da assediato che, pur scontrandosi con delle difficoltà interiori di notevole spessore, riesce a mettere in campo  uno straordinario talento poetico. Certo, la poesia non ha il potere di far scomparire il dolore interiore ma di sicuro dona senso e lenimento al quotidiano tormento.

Immagini in ordine di apparizione: 1. Copertina del libro; 2. L’urlo di Edvard Munch; 3. Guglielmo Aprile.