giovedì 17 settembre 2015

Suite per una notte







Giulia Rusconi e la realtà in movimento
di Bonifacio Vincenzi

Il mio primo incontro con la poesia di Giulia Rusconi è abbastanza recente, in pratica risale a qualche settimana fa, quando sfogliando il secondo numero del Quadernario di Cucchi, (LietoColle, 2015), dando un’occhiata alla sua breve silloge, Distanze, pubblicata nell’Almanacco, fui molto colpito da questa poesia:

Ho scelto la casa al mare/ perché c’è il mare/ ma non pensavo alla sabbia./ Mi entra dalle fessure/ si deposita sul mobilio/ un immobile sudario/ e sulle rughe ogni giorno/ più fitte e la notte/ entrano spifferi mi fanno/ invecchiare più in fretta.

È senza ombra di dubbio una poesia molto bella e mi è venuto  subito di pensare che qualcosa di simile lo scrittore svizzero Peter Bichsel  lo aveva scritto sulla neve:

La mattina c’era la neve per terra. Si sarebbe potuto essere contenti. Si sarebbero potuto costruire degli igloo o dei pupazzi di neve, li si sarebbe ammucchiati davanti alla casa come sentinelle. La neve è una consolazione, ecco tutto quello che è – e tiene caldo, si dice, se uno ci si seppellisce. Ma si infila nelle scarpe, blocca le macchine, fa deragliare i treni e isola i paesi fuori mano.




Sia Bichsel, in prosa, che la Rusconi, in poesia, scrivono puntando sull’instabilità delle sfumature e delle suggestioni della realtà, in cui si annidano già le proiezioni della realtà futura e le relative variazioni.

Poi, quando ho deciso di approfondire, leggendo la raccolta di poesia di Giulia Rusconi, Suite per una notte, pubblicata sempre da LietoColle nella collana gialla “pordenonelegge” la sensazione di trovarmi di fronte ad una poetessa autentica si è, senza ombra di dubbio, rafforzata.

La realtà è la vera protagonista della poesia di Giulia Rusconi. Non è, però, una realtà statica, ciò che lei guarda. Lei mette in moto la sua immaginazione per distinguere il reale dall’attuale, si muove sì nella dimensione del reale, cercando, però,  di colmare lo spazio vuoto con una lucida e fredda proiezione che ne ridimensiona l’incanto con la spietatezza del destino …

Facevamo a palle di neve/ era mattina e c’era un sole/ giallissimo. Tu vincevi la guerra –/ io non avevo mira, ero lenta – Mi domandavo/ come saresti diventato/ per quanti anni ancora avresti avuto/ quei capelli infiniti e neri e la bocca/ per quanto quella smorfia storta./ “Teppista – ti gridavo – fuorilegge”!/ E ridevo e più ridevo più sentivo/ freddo – il freddo/ degli anni già passati.”




Perché Giulia Rusconi è così interessata alla realtà ancora lontana, ancora sconosciuta? “Forse perché le realtà sconosciute – come ha scritto Heinrich Böll – sono sconosciute sono in apparenza, e le realtà lontane sono lontane solo in apparenza. Non c’è nulla che non ci riguardi: o rovesciando l’espressione al positivo, tutto in qualche modo ci riguarda. La realtà è come una lettera che ci è indirizzata ma che noi evitiamo di aprire, perché per noi aprirla è una fatica – o perché ci turba il sospetto che il suo contenuto possa essere sgradevole, un sospetto che ci appare quasi una certezza.”

Di sicuro la Rusconi non ha paura di aprire questa lettera. Di più. Sapendo di non poter trattenere a lungo ogni momento estasiante che lei vive, lo lascia andare iniziando, in poesia, subito la proiezione e il processo di trasformazione. Vive, insomma, ciò che è bello, ciò che è vivo, ciò che è intenso, lo vive totalmente libera da una pur minima forma di dipendenza.

Nella sua poesia, alla fine, c’è una mescolanza di semplicità, di trasparenza, di inalterabile lucidità, di estrema spontaneità e presenza a se stessi davvero disarmante che finisce per rappresentarla totalmente.


Immagini in ordine di apparizione: 1. Copertina del libro, 2. Peter Bichsel, 3. Giulia Rusconi

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