domenica 28 giugno 2015

Francesco, nel silenzio







Elena Bartone
Con Francesco, per sentire la Poesia
di Bonifacio Vincenzi



“Ho pochi giorni ancora, poi devo rientrare in ospedale. Sarà quello che sarà. Attendono altri accertamenti; ma io attendo Lei, meglio attendo Lui. Vorrei che fosse un incontro tra vecchi amici, amici che non si vedono da molto, da moltissimo tempo. E pure hanno sempre desiderato di abbracciarsi, contando gli anni, e le stagioni, e i giorni …”
Così scrive David Maria Turoldo nel suo ultimo, intenso, bellissimo libro: “Il dramma è Dio.” È il canto ultimo, la sua morte è imminente ed enorme è il carico di sofferenza che quotidianamente l’accompagna. Ma Padre Turoldo definisce tutto questo “uno stato di grazia, forse il mio tempo migliore”. Lui ha sempre colloquiato con Dio, a volte in modo impetuoso, a volte con tenerezza, come si fa con l’amico del cuore, senza mai preoccuparsi di nascondere le proprie paure, o la rabbia, o l’angoscia, o la gioia …
Bene, il fatto che Elena Bartone abbia scelto una poesia di David Maria Turoldo come “finestra” da cui affacciarsi allo straordinario mondo di Francesco, nel silenzio, ultima sua raccolta di poesie edita da LietoColle, mi ha fatto molto riflettere.
La poetessa ha già, come giustamente sottolinea Martha L. Canfield nella prefazione al libro, “un punto di riferimento fondamentale, una guida sicura e amorosa, annunciata fin dal titolo: Francesco d’Assisi.” È con il santo degli umili che la Bartone dialoga. Perché, allora, ha scelto questa poesia di David Maria Turoldo, per aprire il suo libro? Una poesia, senza dubbio,  molto bella e significativa:
“Io non ho mani / che mi accarezzino il volto, / (duro è l’ufficio/ di queste parole /che non conoscono/ amori) /non so le dolcezze /dei vostri abbandoni: /ho dovuto essere /custode /della vostra solitudine./ Sono /salvatore/ di ore perdute.”
Le risposte potrebbero essere tante. La povertà come condizione della propria ricerca spirituale sicuramente li accomuna. C’è una differenza: Francesco ha scelto la povertà, Padre Turoldo, invece, è nato in una famiglia talmente povera da indurlo a pregare Dio perché i genitori morissero prematuramente, per liberarli dalla miseria e dalla sofferenza in cui versavano.
Una preghiera d’impeto, come spesso gli capitava, a cui non poteva credere realmente perché lui sapeva bene che l’unica strada per poter “sentire” Dio è quella in salita, quella in cui la sofferenza la fa da padrona.
Non so nulla della vita di Elena Bartone. Quello che so di certo è che lei è una poetessa di talento. La Poesia, quella vera, in questo suo ultimo libro regna sovrana. E per essere brava come lei lo è, nella vita avrà di sicuro molto sofferto.
Senza sofferenza non si può sentire la Poesia, come non si può sentire Dio.
La sofferenza fa vagare senza meta. E non avendo una meta da seguire  tutte le mete sono quelle giuste: “Non ci saranno direzioni al nostro vagare,/ l’unica direzione sarà Dio.”, canta la poetessa.
E dov’è Dio? Di sicuro non può essere fuorioltre.
David Maria Turoldo: “Qualcuno ha interrogato tutte le creature chiedendo se per caso erano loro il Dio che cercava; ma ognuna di loro aveva risposto che no, non erano loro il suo Dio. Solo dopo un’affannosa e interminabile ricerca, egli era giunto a scoprire che il Dio che cercava lo aveva dentro di sé, lo portava nel fondo della sua coscienza; gli era dentro, « più intimo del suo stesso intimo»”
Elena Bartone: “Sui monti calabri/ era calato il silenzio./ La sera si annunciava tra gli abeti./ Cercavo una risposta ai miei perché,/ alle voci che un tempo/ arrivavano da lontano.// Non rincorrevo l’altrove, ma la vita/  nei suoi rivoli di enigmi e sobbalzi/  di felicità.// Rimescolavo le carte dei giorni,/ ma i conti non tornavano./ Tanto silenzio e nulla più.// In quel silenzio tutto verde/ho sentito il futuro/ camminare al mio fianco.” (Sui monti calabri)
Padre Turoldo ed Elena Bartone. Non so se sono io a sbagliare, ma vedo una forte vicinanza tra loro due. Anche nel modo di far poesia.
Dio abita dentro e in quel Silenzio colorato di verde. Non sarà il lavoro dello sguardo né le quattro verità inculcate dalla Ragione, tanto meno una Fede sempre in lotta con il dubbio, ma quell’attimo di Meraviglia colto sui monti calabri; dove il grondante e trepido silenzio, per un attimo, ha cancellato tutto; a far sospirare Dio senza corpo, senza volto.
Sì, Francesco d’Assisi è una guida sicura.  Fa bene la poetessa a rivolgersi a lui per continuare il suo vagare verso il suo risveglio in  Dio. Ma è anche  un modo come un altro per richiamare la Poesia, che non sempre è disponibile a venire. Dio non può essere fuorioltre perché , per dirla ancora con Padre Turoldo, è “sempre più simile a noi, all’ultimo di tutti noi: un Dio umile, debole, sperduto, appassionato e pietoso, venuto a vivere di ogni nostra infermità. Sempre meno Dio dell’onnipotenza, sempre più Dio della misericordia e del perdono.” E credo che Elena Bartone questo lo sappia e anche molto bene.








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