Anna Maria Curci:
uno sguardo dal
mistero
di
Bonifacio Vincenzi
Vita
vivente e vita vissuta, idea creativa e creante ( sempre viva, oscura, eterna),
archetipi ... Che altro? Molto altro ancora
e tutto ciò che serve per trovare una
chiave d’accesso nella poesia di Anna Maria Curci. Magari anche un passepartout
per violare l’enigma dei suoi versi ruvidi, essenziali, carichi di pensiero suo e dei grandi pensatori del
passato e del presente.
Un bagno di umiltà. Vietato
avventurarsi in dedali di illimitate interpretazioni, è consigliato, invece, un
prolungato raccoglimento per tentare di liberarsi prima dell’ossessione del
senso. Le immagini della Curci sostituiscono la realtà, la ironizzano in un’emissione
di segni a volte non accordati con la circostanza. Momenti felici di una mente
nell’atto di offrire a se stessa lo spettacolo di sé, nel passaggio tra zone
d’intensità differenti, dentro, accanto e fuori dalle immagini, nell’operazione
del farsi testo, questo testo: Nuove
nomenclature ed altre poesie, edito dalla Casa Editrice L’Arcolaio.
E
che sia la voce, dunque, nel silenzio che parla allo stupore dello sguardo. Voce di parola affidata al
deserto della pagina, per appagare le esigenze dell’erranza …
“Tornano i giorni del lancio del peso/ a
raggelare accasciata zavorra./Pendenze mascherate da colline/ o da strapiombi,
a seconda del caso,//mimano di Sisifo il vecchio gioco/ – scosceso lui o il
masso, poco importa./ L’androne non è porta, avverte loro/
ghigno, rifilando
colpi di tacco.” (La
caduta dei gravi).
Un’immagine
di spirale che si avvita e scatta come un lampo in un turbine creativo che
sboccia da gusci di parole. Ed è il lavoro dello sguardo a creare dubbi all’ascolto.
Le parole sbocciano come gli artificiali fiori giapponesi, non obbligano a
niente né fanno riflettere, vivono nel loro oscuro silenzio ammiccando all’ignoto
…
“Ho sognato stanotte/di un filo non più
teso/a scongiurare il vuoto/
eterno agguato al
gioco.//Già mi prefiguravo/lo slancio spensierato/
che affrontava di
petto/ l’esito capovolto.” (Lapsus)
La
poesia di Anna Maria Curci dispensa bellezza da una corda di basso, viaggia indietro trovando risposte che non
cerca, “mentre la briglia abbandonata/ volge lo sguardo altrove.”
D’altronde,
il senso della vita non è al di là di questo mistero che la sovrasta?
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