Marco Baiotto:
“Come un bruco assetato di cielo”
di Bonifacio
Vincenzi
Jabès:”Solo
sui nostri occhi, sulla nostra intelligenza possiamo contare, per tentare di
cogliere ciò che lo scritto contiene; solo attraverso i limiti insopportabili
di una parola letta possiamo accostare l’infinito di una parola da leggere.
Sicché è sempre una parola impossibile che urtiamo; e a cui sacrifichiamo la
nostra.”
In questo sacrificio ciò che viene è qualcosa che ci
riguarda fino in fondo, una luce che illumina la strada che non è mai nostra ma
che poi la diventa; e si va avanti nel libro. Per cercare cosa? Il nostro
cielo? Le nostre piccole malinconie irrisolte? O semplicemente il nulla che a
un certo punto emerge carico di un mondo, sì, quel mondo, così simile al
nostro. Magia della Poesia. Magia del libro.
Già, il libro. Sulla copertina, fra il titolo e il nome
della casa editrice, il nome dell’autore: Marco
Baiotto. In questi casi è consuetudine citare il nome della casa editrice,
la Macabor, e il titolo del libro: Come
un bruco assetato di cielo.
“Un titolo – scriveva Derrida – è sempre un’economia in
attesa della sua determinazione, della sua precisione, della sua Bestimmtheit, quello che esso determina
e quella che la determina.”
C’è da dire, però, che l’energia oscure che gravitano in
questo libro di poesie di Baiotto sono misteriose e importanti. La loro
presenza enigmatica stimola la nostra curiosità:
“Anime in calici/ stillavano in gocce di sangue bianco/ dall’albero della gomma divina/ per soffrire
alla luce di Soli dispersi.// Ogni goccia nel calice suo/ di cristallo gommoso
caldo,/ con unghie immaginarie/sulle pareti interne del corpo,/ s’inerpicava/ come
bruco assetato di cielo,/ dall’interno del tronco cavo di castagno/ imprecando
occhi sul mondo,/ per spiccare voli di farfalla."
La materia oscura della poesia, come quella dell’Universo, si dispone (in questo caso sulla pagina) in modo disomogenea. Dal cumulo dei giorni di una vita viene fuori un mondo che attraverso un lungo, paziente, silenzioso avvicinarsi, alla fine riempie la parola e subito dopo è stupefacente come un semplice sguardo riesca a cogliere (e lo diremo parafrasando Blanchot) non il tutto, “ma ciò che è già prima di «tutto», l’immediato ed il lontano, ciò che è più reale di ogni cosa reale e che si dimentica in ogni cosa, il legame che non si può legare e attraverso cui tutto, il tutto, si lega.”
Nella poesia di Baiotto gli indizi si dispongono nei
versi e il senso più evidente si concede alla facoltà di vedere e sentire altro, una sorta di dubbiosa verità a
brandelli:
“(…)
Ricordavo qualcosa…/Forse quando tolsi le rotelle dalla bicicletta/e
rovinosamente caddi conoscendo l’asfalto,/o forse quando con un luccio allo
stagno/lottai fiero dei miei dieci anni/ in un indimenticabile inverno,/ o
forse ancora/quando sostenni l’esame di terza media,/ tremante candido
fuscello,/promettente anticamera/ d’un solido uomo.// Ricordavo qualcosa…/Forse
le mie giornate al campetto/ quando l’estate sembrava un unico/interminabile
correre a perdifiato/fino a notte fonda,/e il crollo sempre avveniva/sul mio
piccolo ottundente guanciale.// Ricordavo qualcosa…/ Quando imprecando in
dialetto inseguii/con un bastone un ragazzo più grande:/che folle, dopo avergliele
date/ ed esser fuggito indenne,/ l’aver ridisceso, per onore, le scale,/ per
prenderle da lui e dai suoi amici!// Ricordavo qualcosa…/ Forse le giornate in
torrente/ a viver la poesia dell’acqua e delle trote/che scorrono fluttuando
nel tempo della natura,/ lasciandomi esondante di stupore,/muto testimone,/con
i ricordi nel carniere/a far da unico salvacondotto/ad una altrimenti
inevitabile,/stridente odierna follia.//Ricordavo qualcosa…/Ch’era così bello
da sembrare un quadro,/e di quel quadro il profumo riporto/cancellandone le
ombre dalla memoria,/ancora in me fresco di pittura.//Fintanto cheogni cellula
di gelatina/ammorbata da arteriosclerosi inclemente/ non invaderà il mio
giardino,/ghiacciandone i fiori/in graffiti di quarzo/sulle pareti della mia
vuota caverna/ rilucente di muti cristalli.”
Questo filo che porge Baiotto non cerca vie d’uscita, è
un passare tra realtà e racconto della realtà, un transitare, insomma, tra gli
strati di una vita dove lo stupore è ancora intatto negli occhi di un ragazzo che è rimasto
lì a vivere per sempre la poesia dell’acqua e delle trote.
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